Viaggio nel tempo sulle tracce di Vavilov e verso la nuova sostenibilità agricola
Gli autori del libro sull'eredità del lavoro del ricercatore russo, Tola e Boscolo, raccontano della biodiversità in tutto il mondo
Data:05 Oct 2020
Quando Elisabetta Tola si è imbattuta in Nikolaj Vavilov durante i suoi studi in agraria, c'era già oltre un secolo a dividerli. Fra la giornalista scientifica e il genetista russo morto in un gulag durante la Seconda Guerra mondiale, infatti, esisteva una evidente distanza cronologica superata, però, dall'interessante lavoro che lo aveva portato in giro per il mondo per le sue ricerche.
In parte, la nascita del libro “Semi ritrovati, viaggio alla scoperta della biodiversità agricola” di Codice edizioni, scritto a quattro mani con il collega Marco Boscolo, si deve a questo particolare confronto scientifico fra generazioni.
“Nikolaj Vavilov ha intuito che le piante coltivate in Russia probabilmente provenivano da altri luoghi, grazie al fatto che i contadini nei secoli avevano portato semi e piante da molti luoghi. Vavilov – spiega Elisabetta Tola – è andato a ritroso e ha compiuto decine di viaggi alla ricerca dei luoghi in cui queste piante hanno avuto origine, e lì trova una enorme diversità di varietà selvatiche. Nel suo primo viaggio sulle montagne del Pamir, infatti, Vavilov scoprì l'origine dei cereali e pian piano creò la prima Banca dei semi a San Pietroburgo”. Quelle ricerche di fatto aprirono decenni di ricerche ulteriori che furono poi riprese negli anni '80 dalla Fao. “Nei primi anni degli studi di genetica molecolare – prosegue Tola - si è compreso infatti che studiare la diversità genetica rappresentava la chiave di volta per mettersi in sicurezza e poter contare su bacini di scelta, risorse di genetica che si potevano conservare e che avrebbero potuto tornare utili nel caso di malattie e danni alle altre varietà”.
L'esperienza di Vavilov ha creato una fase di ricerca anche in Italia con il professor Nazareno Strambelli e altri genetisti italiani, all'inizio del '900. “Questo ha portato ad avviare i primi incroci coincisi con il Ventennio fascista e la battaglia del grano perchè il regime intedeva rendere più produttiva l'agricoltura italiana per poter dipendere meno da altre nazioni”.
Lo sguardo su nove diversi Paesi del mondo lancia un riferimento molto ampio su cui si è focalizzata l'attenzione dei due autori. “Il ritorno alla biodiversità tutelata dagli agricoltori ha consentito la nascita delle reti contadine e il recupero delle varietà locali – aggiunge Elisabetta Tola, che si sofferma anche su un riferimento italiano e più in particolare lucano. La Basilicata - dice - è molto presente, anche se nel libro è solo citata. Uno dei progetti di ricerca su cui collaboriamo ha un focus sul recupero dei pomodori nella zona del Pollino (seguito dai tecnici dell'Azienda agricola dell'ALSIA "Pollino" di Rotonda, ndr) anche attraversi incroci fra varietà, sviluppando al tempo stesso formazione e selezione condivisa e partecipata”.
La tenacia di quel ricercatore russo, in giro per il mondo per evitare di perdere il patrimonio genetico di migliaia di varietà di piante, ancora oggi, ha un grande valore. Lo spiega, in sintesi ancora Elisabetta Tola: “Negli ultimi venti anni si stanno moltiplicando le esperienze, in tanti Paesi, di recupero delle varietà locali cercando di mettere in campo la diversità. Emergono forme di agricoltura più connesse alla natura dei territori anche in termini culturali: oggi c'è un'agricoltura agroindustriale produttiva, ma dobbiamo ragionare sul comparto su meccanismi di minor impatto”.
Marco Boscolo, autore del libro insieme a Elisabetta Tola, racconta gli otto anni necessari per la stesura del libro e quanto l'eredità di Vavilov muova ancora oggi la ricerca e l'agricoltura. “I nipotini di Vavilov, come chiamiamo tutti coloro che abbiamo incontrato nei nostri viaggi – spiega Boscolo – hanno riportato in campo le sue idee e questo è un legame significativo, un filo rosso che unisce tutti. Quell'esempio ha consentito di mettere in atto modelli diversi di agricoltura, alternativi al modelli imperante che si è imposto negli ultimi 60 anni a livello mondiale.
L'attenzione resta alta anche grazie alle organizzazioni di contadini in Spagna, Francia, Italia. Sono network nati negli ultimi 20 anni per fare innanzitutto massa critica, mettendosi insieme e scambiandosi conoscenze fra agricoltori e innovatori. In questo modo si sono costituite identità politiche che si siedono ai tavoli di decisione”.
Alla luce dell'evoluzione degli studi di Vavilov, questa evoluzione richiederebbe un secondo volume. Risponde ancora Boscolo: “Ci siamo concentrati sui cereali, ambito principale di Vavilov e alla base dell'alimentazione umana, ma sarebbe molto interessante vedere cosa accade nelle ortive o nella vite che in Italia è molto importante ma sta subendo un forte attacco per il cambiamento climatico. Penso, ad esempio, alle viti piantate nella valle del Tamigi a Londra, dove abitualmente non si fa vino, o alla provincia di Trapani, dove viene coltivato avocado. Il concetto di agricoltura – prosegue – sta cambiando. L'ultimo capitolo del libro parla dell'esperienza degli Stati Uniti dove sono state avviate produzioni agricole in città: non parliamo di orti urbani ma di fattorie come quella di Brooklin che è completamente sostenibile e che nasce da una rete di associazioni locali intenzionate a creare un tessuto sociale nel quartiere, e si è pian piano trasformato anche in centro di formazione. L'agricoltura diventerà sempre più un veicolo per fare attività sociale”.