"Tutto cominciò per gioco, e oggi le zampogne sono come figlie"
Parla Vincenzo Di Sanzo, giovane artigiano di San Paolo Albanese (PZ) nel Parco nazionale del Pollino
Data:01 Jan 1970
Sentirlo parlare del suono della zampogna, della ricerca del legno adatto a produrre un tono invece che un altro, è la conferma che la passione per portare avanti le tradizioni forti dei territori, non ha età.
Vincenzo Di Sanzo ha 24 anni, studia pianoforte al Conservatorio romano di Santa Cecilia ma del suo animo originario cresciuto a San Paolo Albanese, nel Parco del Pollino, in provincia di Potenza, porta tutto il meglio, e lo traduce nella costruzione di zampogne che hanno già catturato l’interesse di molti appassionati provenienti da tutta Europa.
“A 18 anni ho cominciato a interessarmi a questo strumento, tutto è cominciato quasi per gioco. Mi è sempre piaciuto lavorare in legno, usare la manualità e così, piano piano, ho iniziato a costruire zampogne”. Straordinaria la sua creazione di un esemplare a otto palmi (il palmo è l’unità di misura che indica la lunghezza dello strumento). “E’ uno strumento di cui non si riesce a ricostruire la nascita indietro nel tempo: produce un suono grave, adatto a eseguire brani lenti. Una dimostrazione di quando ho suonato questa zampogna è stata raccolta in un breve video pubblicato sui canali social dell’ALSIA, video che ha registrato migliaia di visualizzazioni in pochi giorni”.
“Quello di costruire zampogne non è il mio lavoro principale – tiene a chiarire Di Sanzo che studia pianoforte a Santa Cecilia, a Roma. Realizzo questi strumenti solo per passione, e questo mi consente di scegliere le persone per le quali costruire le zampogne. Sono molto affezionato agli strumenti, è un po’ come se fossero miei figli”.
Di Sanzo ama la tradizione, pur con delle aperture: “Gli esperimenti vanno bene – spiega – ma non devono intaccare la tradizione”. Fondamentale la scelta dei materiali per la realizzazione dei suoi strumenti: “Dall’ulivo all’acero e al ciliegio, ma spesso uso anche mandorlo, prugno o il gelso, con timbri differenti a seconda del legno e a seconda dell’utilizzo della zampogna. La tradizionale pelle di capra, poi, serve per l’otre, che oggi conta anche su materiali sintetici su cui il giovane Di Sanzo precisa: “Se la tradizione funziona bene, chi siamo noi per dire che non va? Se però la tecnologia procede e riesce a migliorare il prodotto, allora se ne può parlare”.