Sette varietà per sette vini

Una ricerca topografico-archeologica per ricostruire in Basilicata la storia di antichi vitigni
didascalia.

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Data:Wed Feb 10 09:07:43 CET 2021

La citazione in parafrasi del titolo di una nota commedia musicale americana del 1954 riassume la parte significativa dell’importante risultato raggiunto in Basilicata in una pluridecennale strategia messa in atto dalla Regione con Università, ALSIA-Agrobios ed Enti Pubblici di Ricerca, per ampliare la base ampelografica oltre i limiti delle varietà di vite già coltivate e in produzione con notevole successo.

Anni di ricerca, sul campo, in laboratorio, in biblioteca e di nuovo sul campo condotti dalle Aziende vitivinicole riunite nel Consorzio DOC Terre dell’Alta Val d’Agri, con il supporto finanziario del Comune di Viggiano e dell’ALSIA, e assieme al CREA UTV e poi VE, affiancato nel 2014 dal CNR IBAM (ora ISPC), hanno sciolto dubbi e consolidato le conoscenze sull’effettiva consistenza del patrimonio di biodiversità esistente anche in alta Val d’Agri.

In un contesto geografico ottimale per qualità del clima e dei suoli, che nel ricco territorio viticolo argentino del Rio Negro ha un prezioso e unico corrispettivo a livello mondiale, si conserva una biodiversità viticola che obbedisce a due fattori. Il primo è ambientale e si concretizza nel parziale isolamento della valle, dominata da vere e proprie montagne. Il secondo è culturale. L’abbondanza di varietà è infatti direttamente proporzionale all’incidenza dell’agricoltura e all’entità della richiesta nei secoli per ottenere un maggior numero di varietà capaci di rispondere al meglio alle malattie e ai cambiamenti climatici.

È ancora consolidata in molti l’idea di lasciare gli autoctoni fuori dal mercato e di confinarli metaforicamente in un giardino botanico, perché la loro passata riduzione a piante “rare” sarebbe sinonimo di scarsa qualità. Questo principio procede di solito con un secondo, per il quale di un vitigno si può accertare la storicità unicamente recuperando qualche menzione del nome. Purtroppo, le frequenti sinonimie e la continua mancanza di certezza che una citazione assente non dipenda dai limiti oggettivi dell’indagine, compiuta solo su una parte delle fonti realmente esistenti, rendono questa strada insidiosa e poco affidabile, se lasciata da sola. La ricerca in atto, fondata sull’interdisciplinarietà dell’approccio topografico-archeologico e sulla sua predisposizione agli innesti multidisciplinari delle discipline umanistiche nelle scientifiche, consente di ridurre le lacune e di fare affiorare linee evolutive e relazioni essenziali a definire lo spazio in cui una varietà si è mossa in un certo intervallo temporale. Si è agli inizi della storia che in un prossimo futuro potrà essere delineata con precisione per ciascun vitigno.

Sette varietà su 54, in un numero di accessioni acquisite ed esaminate quattro volte superiore e per un campo catalogo allestito presso l’azienda sperimentale Bosco Galdo dell’ALSIA a Villa d’Agri, quasi al centro dell’alta valle, si raccontano e illustrano la cultura di questi luoghi. Questo particolare settore del bacino idrografico dell’Agri, a valle della sorgente del fiume, si colloca da 3300 anni in un sistema di collegamenti in entrata e in uscita che unisce le coste tirrenica e ionica con il movimento di uomini, merci, piante, animali e saperi lungo le aste del Sinni, dell’Agri, del Basento, del Tanagro e del Sele, ossia le comunicazioni archeologicamente documentate dalla civiltà enotria ai Romani e confermate nei secoli successivi.

Aglianico bianco, b., Santa Sofia, b., Malvasia ad acino piccolo, b., Giosana, b., Iusana, b., Colatammurro, n. e Plavina, n. si dispongono così in una linea del tempo dai contorni definiti e illustrati in dettaglio nel volume presentato il 25 settembre 2020 a Viggiano con la partecipazione della Direzione Generale dell’Agricoltura della Regione Basilicata, dell’ALSIA e del Comando dell’Istituto Geografico Militare (Firenze).

L’Aglianico bianco, varietà specifica con una propria identità genetica e non una semplice mutazione genetica del più celebre Aglianico, n., riprende e conferma quanto accertato per esso nel movimento compiuto fra le regioni Campania, Basilicata e Puglia, evidenziando l’importanza storica di alcuni percorsi come il grande Tratturo degli Stranieri, da Metaponto a Paestum, attorno al quale potrebbe essere nato. L’estensione in Puglia potrebbe essere avvenuta riprendendo il cammino segnato tra la fine del IX e l’XI secolo dalla Santa Sofia b. Entroterra irpino e porti pugliesi uniti dal vitigno in un viaggio che si compirà fino in Croazia, incrociando in direzione uguale e contraria il Primitivo n. e la Plavina n.

Da Metaponto così come dalla valle dell’Ofanto e dal Vulture si ha un passaggio di varietà che idealmente si compie con il Colatamurro n., derivato dal Bombino b. Originariamente riconosciuto nel nome solo come varietà bianca come il suo possibile parente diretto, è stato poi dato, sempre come nome, al corrispettivo ‘nero’ per ispirarsi a sua volta al colore e avere maggiore successo di quello originario. La spinta del commercio, che ha modo di far “migliorare” una varietà occultandone sotto il suo nome una migliore (ad esempio il binomio Fiano b.-Santa Sofia b., svelato solo ora), non risparmia l’alta Val d’Agri, secoli prima dell’estendersi dell’uso alle consuetudini del Vicereame spagnolo, per riuscire a collocare proprio quelle varietà iberiche e i relativi vini poco graditi tra i sudditi napoletani.

La Malvasia ad acino piccolo b. si pone infatti come candidata alla progenitura della Giosana b., un vitigno che incontra molto bene nella porzione centro-orientale della valle, poco dopo la conquista da parte dei Bizantini alla fine del IX secolo. Le si contrappone la Iusana b., molto simile nell’aspetto se non addirittura identica. Cresce subito al di là della frontiera con il Principato di Salerno, nel territorio della fondazione urbana di Marsico Nuovo, e si espande nella fascia di mezzo fra Grumento e Marsicovetere. Sui mercati cerca di presentarsi sotto le mentite e più ricercate spoglie della vicina, acquisendo il nome che tuttora detiene nei territori di origine, a sancire la sua somiglianza.

Sono racconti di vitigni, questi, per la ricostituzione di un terroir che finalmente possa riscattare il proprio posto fra le DOC regionali e nazionali con le proprie peculiarità.

Agrifoglio n. 101 -  

Temi
Biodiversità
Autori
Stefano Del Lungo

Ricercatore - Archeologo - IBAM CNR

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