L’agricoltura biodinamica oggi

La principale “ricetta” consiste in una serie di azioni a tutela dello strato fertile del terreno
didascalia.

La presenza di lombrichi nel terreno è un buon segno.

Data:Sat Feb 29 12:38:00 CET 2020

La scienza istituzionale ha dimostrato più volte di essere scettica al suo riguardo, ma farebbe bene a cercare di scoprire il motivo per cui funziona. Premetto che non sono un esperto di biodinamica e che le informazioni acquisite sono dovute all’osservazione e alla frequentazione di alcuni agricoltori che applicano il metodo da diversi anni. Questi sono così convinti dei vantaggi tecnico-agronomici, ambientali e sociali che il metodo offre, tanto che qualcuno lo applica senza richiedere l’apposita certificazione che garantirebbe un maggiore valore economico agli agroalimentari ottenuti.

La rimozione dei preconcetti sulla biodinamica che avevo, da laureato in Scienze Agrarie, è avvenuta quando, come divulgatore dell’ALSIA, ho curato gli incontri tra gli agricoltori biologici con il compianto Podolinsky, nel 2010 e nel 2011 (vedi Agrifoglio n.87, luglio 2019).

Prima, se pur alla continua ricerca di forme di produzione agricola sempre più sostenibili, i contatti avuti con qualche produttore, praticamente all’epoca solo due in Basilicata, non mi avevano particolarmente entusiasmato. Non riuscivo a vedere nessun vantaggio reale nell’uso, ed esempio, di preparati speciali quale il corno letame o il corno silice, di cui non sapevo nulla. Certo non per colpa degli agricoltori ma della mia ignoranza in materia. 

Una figura molto carismatica, quella di Podolinsky. Non forniva ricette o soluzioni preconfezionate agli agricoltori: li aiutava invece a “leggere” la propria realtà aziendale partendo dal fattore produttivo più importante, ovvero il terreno, il suolo agrario. "Il bene più importante dell’umanità", come spesso ripeteva inculcando il concetto in chi lo ascoltava.

Alcune aziende, adesso, hanno raggiunto tassi di sostanza organica impensabili per l’area in cui operano ed i livelli produttivi (se si bada solo alla quantità) sono del tutto paragonabili alla produzione integrata. Il limite minimo di sostanza organica, per avere una biodiversità funzionale, ovvero che lavora per noi, è di almeno il 3,5%. E nel metapontino, grazie all’applicazione del metodo biodinamico, c’è qualcuno che è arrivato a questi livelli.

La sua principale “ricetta”, ed è veramente l’insegnamento più importante che tutti gli agricoltori dovrebbero applicare, è il rispetto dello strato fertile del terreno e di operare per aumentarlo. Come? Lavorandolo esclusivamente in tempera e “delicatamente”, “senza fare polvere” ovvero lentamente (velocità ridotta dei mezzi meccanici) e soprattutto, senza nessun rivoltamento o rimescolamento verticale con aratri. Bisogna usare particolari attrezzi meccanici, trainati da trattrici leggere e, ad esempio, con ruote larghe per non schiacciare eccessivamente il terreno; usare organi discissori con rulli dentati per l’affinamento del terreno, che portano aria e ossigeno in profondità favorendo i microrganismi benefici, l’infiltrazione e la tesaurizzazione dell’acqua. Inoltre, nella ricetta sono previste azioni per incrementare la biodiversità, come appositi sovesci o inerbimenti, gestiti o terminati con rulli sagomati, o sfalciati e lasciati a compostare in superficie. L’uso dei preparati biodinamici incrementa la biodiversità dei microorganismi tellurici. Il famoso o famigerato corno letame altro non è - a detta dei ricercatori che lo hanno analizzato - che un ricchissimo coacervo di microorganismi, sostanze ormonali, ecc. che agiscono in piccolissime dosi (circa 90 gr/ha) come il lievito nella farina o una goccia di aceto in una botte di vino: piano piano il lievito o l’aceto (innesto di microorganismi) colonizzano tutto il substrato disponibile.

Fortunatamente sono sempre più numerosi gli studiosi che hanno ripreso a indagare per cercare di dare una spiegazione scientifica all’evidenza per cui la tecnica biodinamica funziona. Studiosi che per questo vanno in campo ad osservare una realtà ben più complessa e “scomoda” di quella che si può osservare stando all’interno di un laboratorio. Il loro è un compito difficile in quanto si tratta di capire perché funzionano quelle che sono semplici intuizioni degli agricoltori. I risultati di alcune di queste ricerche scientifiche condotte in aziende biodinamiche saranno presentati al convegno internazionale che si terrà a Firenze dal 26 febbraio di quest’anno. Non è facile immaginare le sensazioni di questi relatori all’idea di un confronto con la, a dir poco prevenuta “scienza istituzionale”, quella che non è mai entrata nelle migliori aziende biodinamiche e che continua a parlare di astrologi e fattucchieri.

Peggio per loro che non vogliono vedere che … il "paradiso" può esistere! Queste aziende, infatti, sono così ben curate, piene di colori (sia per la disposizione delle colture in rotazione che per le fioriture negli inerbimenti), animali e profumi che il visitatore ne esce “rasserenato”; l’osservatore più attento noterà anche la biodiversità funzionale, che lavora, come già detto, al posto dell’agricoltore o dei mezzi tecnici extra aziendali o extra-settoriali. Per quanti volessero approfondire l’argomento biodiversità funzionale, consiglio la lettura dell’articolo del prof. Marco Nuti, che nulla c’entra con il biodinamico ma è un luminare nel campo della microbiologia del suolo, Suolo, patrimonio dell’Umanità: quanto ne stiamo perdendo per erosione, inquinamento e cementificazione?”.

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Agrifoglio n. 92 -  

Temi
AASD Pantanello-Metaponto
Rubrica
coltivando
Autori
Giuseppe  Mele

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