Finocchietto selvatico: dalla produzione della spezia a quella dei liquori

Una storia lucana di resilienza e rinascita. E ora “La Fenice” di Baragiano (PZ) punta anche sul liquore CRUSCO'
didascalia.

Anna Galasso e Vincenzo Farella.

Data:Tue Jun 07 14:10:58 CEST 2022

La Fenice è un uccello mitologico che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte, e proprio per questo motivo simboleggia anche il potere della resilienza, ovvero la capacità di far fronte in maniera positiva alle avversità, coltivando le risorse che si trovano dentro se stessi.

Prendendo spunto proprio dall’uccello mitologico, Anna Galasso scelse per l’azienda agricola il nome “La Fenice”, perché nata un po’ per ripiego, quando tutto sembra perso, quando per un pelo non rientri tra i vincitori di un concorso, quando la graduatoria in cui sei ben inserita non scorre, quando non ti rinnovano più il contratto perché oramai sei diventata mamma. In una situazione simile si trovava anche suo marito, Vincenzo Farella, a causa del mancato rinnovo di un contratto.

Ed è proprio quando tutto sembra perduto, quando non si vede più una via di uscita, quando non resta altro da fare che fermarsi e fare i conti con le proprie forze e risorse, che può emergere il coraggio di volgere lo sguardo verso orizzonti inesplorati per ipotizzare un futuro completamente nuovo. Maturarono così la decisione di lavorare insieme facendo convergere le loro energie e competenze verso un unico obiettivo: dare vita ad un'azienda tutta loro. “Ho sempre creduto nel talento di mio marito” racconta Anna, “l’ho sempre visto pieno di risorse e capacità”. Oggi riconoscono che fu proprio grazie a quel periodo buio che adesso si ritrovano a dirigere un’azienda che li gratifica giorno per giorno nonostante le difficoltà che non mancano mai.

Nasce così nel 2010 l’Azienda agricola La Fenice di Anna Galasso, in agro di Baragiano, in provincia di Potenza, con l’unico contributo, a tutt’oggi, di un mutuo agrario acceso presso una banca. Il contesto è quello di un paesino di circa 2.500 anime e 600 metri di altitudine, un territorio prettamente collinare e un’agricoltura dedita alla cerealicoltura (Figura 1).

La decisione di “cosa produrre” si basò sull’intercettazione di una domanda di mercato ben più alta dell’offerta: il seme di finocchietto selvatico. Questa spezia è molto usata in Basilicata sia per la produzione dei taralli e sia, soprattutto, per quella della salsiccia lucana, un insaccato stagionato, tipico di questa regione, che si fa da millenni e che attualmente si continua a produrre sia per l’autoconsumo, sia nelle macellerie, sia nei numerosi salumifici artigianali.

Anni addietro c’era l’usanza di andare a raccogliere i semi di questa pianta che cresce spontaneamente dalle coste all’entroterra fino in montagna, molto diffusa in tutta la Basilicata. Attualmente sono rimasti veramente in pochi a farlo, e sono soprattutto anziani coloro che si dedicano alla raccolta, essiccazione e selezione del prezioso seme che i salumifici pagano anche a 30 euro al kg. La differenza tra i semi di finocchio di provenienza estera o di varietà coltivate per ortaggio, con i semi di finocchio selvatico è notevole, soprattutto nell’aroma. Inoltre, dal punto di vista igienico sanitario il prodotto estero lascia molto a desiderare. Sono questi sostanzialmente i motivi per cui il prodotto italiano è molto richiesto.

Nasce da questa disamina l’idea di coltivare il finocchietto selvatico provando ad “addomesticarlo”. Anna e Vincenzo partono quindi alla ricerca delle piante spontanee migliori, basando la loro valutazione sul fenotipo. Per la produzione delle nuove piantine si affidano ad un buon vivaio al quale forniscono il seme selezionato.

La sperimentazione in campo dura diversi anni, durante i quali affinano la tecnica colturale: dalla distanza ottimale tra le fila per assicurare un buon arieggiamento della parte aerea per quando lo sviluppo è al massimo (periodo della maturazione/raccolta), al periodo migliore per effettuare il taglio della vegetazione, operazione che consente di armonizzare il ricaccio e contenere lo sviluppo in altezza al fine di agevolarne al raccolta; comprendono quali degli appezzamenti aziendali danno le migliori rese produttive e quale è la durata economicamente più conveniente della pianta prima di sostituirla con una nuova.

La raccolta, così come la maturazione dei semi (che in realtà sono i frutti della pianta, appartenente alla famiglia delle Apiacee o Ombrellifere), è scalare ed avviene manualmente. Il reperimento della manodopera non è un problema poiché il periodo, fine agosto inizio ottobre, non si accavalla con quello della raccolta dell’uva e delle olive. Una volta raccolte, le ombrelle (infruttescenze) vengono disposte su graticci al riparo dalla luce diretta del sole, in un ambiente ben areato, per una asciugatura naturale. Segue la pulizia del seme, che avviene con un apposito macchinario.

La pianta teme l’umidità durante il periodo della maturazione del seme, pertanto la variabile maggiore da cui dipende l’andamento dell’annata è quella climatica. Per fronteggiare questo rischio non prevedibile, pensarono di affiancare la produzione del seme a quella di un liquore al finocchietto. Così Vincenzo, che per formazione proviene dal settore alberghiero, iniziò a mettere a punto una ricetta per un liquore a base di finocchietto.

Nel 2017 aprirono un piccolo liquorificio artigianale basandosi sulle potenzialità dell’azienda agricola di rifornire la materia prima, considerando che ogni anno mettono a coltura dai 3 ai 5 ettari, (Figure 2 e 3). Con squisita modestia, Anna mi racconta delle tante prove fatte per cercare di mettere a punto la ricetta ideale, di quante bottiglie di liquore hanno regalato per farlo testare, di quelle che lei chiama “brutte figure” ma che poi hanno permesso di raggiungere finalmente il risultato odierno, molto apprezzato dai clienti.

Nel frattempo avevano avviato anche la produzione del peperone varietà corno di capra, adatta all’essiccazione e, quindi, a fare il famoso “peperone crusco” che hanno poi utilizzato per arricchire l’assortimento di liquori che oggi si presenta in quattro tipologie: al finocchietto (con semi di finocchietto selvatico ed erbe), crema di liquore al finocchietto (con latte fresco pastorizzato oltre al finocchietto e altre spezie), al peperone crusco nella variante dolce e piccante. Gli ingredienti sono per la massima parte prodotti in azienda o comunque di origine lucana, come il miele e il latte (Figura 4).

Alla domanda “se sia stato semplice aprire un liquorificio”, Anna racconta che lo hanno aperto nel 2017 ma erano partiti nel 2014. Si sono rivolti all’Agenzia delle Dogane (Monopoli di Stato) di Potenza, che hanno dato loro un buon supporto per la tenuta dei registri. Si sono poi affidati ad un tecnologo alimentare per l’etichettatura, la quale deve rispondere a determinati requisiti previsti per legge, e ad un grafico per il logo dell’azienda e il disegno dell’etichetta.

Attualmente l’azienda produce semi di finocchietto confezionati in sacchetti da uno e da mezzo chilogrammo che soddisfano soprattutto salumifici e macellerie, non solo lucani ma anche pugliesi, calabresi e del centro Italia, clienti conquistati inviando per posta campioni di prodotto. Inoltre, per accontentare i piccoli clienti locali, riforniscono alcuni supermercati con confezioni minori, riuscendo a esaurire sempre l’intera produzione ben prima della nuova raccolta.

Tra gli obiettivi per il futuro c’è quello di aumentare la produzione liquoristica esplorando anche il commercio con l’estero.

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