Biodiversità e cibo: "patto di comunità" in tempo di pandemia
La tragicità del momento reclama una nuova visione sul mondo dove si vuole continuare a vivere
Data:26 May 2020
La biodiversità è la trama della vita e il cibo è il suo sostentamento. Lo sa bene il contadino, il pastore, l’agricoltore “custode” delle nostre campagne e delle nostre materie prime agricole e alimentari. Lo sa la nostra comunità che vive nei borghi e nei territori dell’area sud della Basilicata, che ancora provvede, con la propria presenza e il proprio presidio, a custodire la terra, la natura, il creato.
In questi giorni, in cui si conta il dramma di una rottura del patto di reciproco rispetto tra uomo e natura, le devastanti conseguenze della pandemia esplosa sull’intero pianeta interrogano le coscienze dei popoli sulle ragioni dello sconvolgimento nel quale si sono inabissati.
Le restrizioni alle quali ora siamo obbligati reclamano a ciascuno di noi una visione del mondo che verrà, del mondo dove si vuol continuare a vivere.
Fuori casa, in città o in campagna, intanto, nature, paesaggi, forme di vita dimenticate si sono riaffacciate nelle strade e nelle piazze deserte, nei terreni lasciati riposare, respirare, senza rumori, senza inquinamenti, senza calpestii. Sono riapparse erbe spontanee, fiori, vegetazioni che riempiono il vuoto e il silenzio e si proiettano su uno scenario immaginario con sembianze di nuova arte. La biodiversità si fa forte e va oltre; riunisce in sé utilità e bellezza e fa della natura un’arte.
In questi giorni io, che “resto a casa”, vado con una immaginazione “di ritorno”, a visitare i campi primaverili tornati ai loro cicli stagionali naturali, le piante, le colture, gli orti, le orchidee, la ginestra, la peonia selvatica del monte Carnara, l’icona identitaria della mia cultura “arbëreshe”, pronta, proprio in questi giorni di maggio, a sbocciare lussureggiante.
La pandemia ha cambiato il senso delle nostre giornate. Ora, al risveglio, noi ci aspettiamo che tutto cambi e che, superata la tragicità del momento, diventi occasione di riscatto. Occorre, però, un patto; un "patto di comunità", all’insegna di biodiversità e cibo.
Lo sperano le aree dove resistono i sistemi di agricoltura tradizionali, lì dove si registra una minore diffusione del virus: le aree collinari, le aree montane, le aree protette, come il Pollino, come l’Appennino Lucano, come tutte le atre aree protette d’Italia, risultate meno colpite dal Covid-19.
Lo dice in modo documentato uno studio recente dell’università di Firenze. C’è, qui, una ricchezza di materie prime e di cibi buoni e sani da gestire, in modo unitario e strategico, con un patto di comunità: una comunità di cittadini, di portatori di interessi collettivi, di difensori di “civiltà”, di responsabili dei “beni comuni’.
In questa era dell’Antropocene, in cui moltissimi hanno corso verso il riscaldamento del pianeta, molti sembrano, ancora oggi, apprestarsi a riprendere la corsa.
La centralità della biodiversità e del cibo e l’importanza della filiera rimandano, invece, a politiche di tutela ambientale e a politiche agroalimentari, a misura di agricoltura tradizionale basata su una rete relazioni, prima umane e, poi, sociali e di prossimità, da prendere a modello per ripartire.
Con una visione organica del territorio, con un uso compatibile delle sue risorse, con la convivenza pacifica, con la solidarietà, con la rivitalizzazione degli ambiti delle comunità locali, con un patto di “Comunità del cibo e della biodiversità di interesse agricolo e alimentare dell’area sud della Basilicata” nel ruolo di stakeholder, di animatore territoriale, di rete tra tutte le componenti della filiera agroalimentare, la ripresa di un sano cammino di operosità e di benessere diventa obiettivo concreto. La Comunità del cibo e della biodiversità istituita, in attuazione delle disposizioni della Legge n.194/2015, attraverso gli agricoltori e gli allevatori “custodi”, gli “itinerari della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”, i “siti di conservazione”, la sensibilizzazione delle popolazioni locali è in grado di rendersi protagonista della creazione di una rete di soggetti fortemente legati al territorio. Perché il rapporto tra cibo, territorio e comunità è il fondamento di una rigenerazione dell’intera area.
Intanto, facendo tesoro dei messaggi nelle chat della Associazione Vavilov e degli Amici della Biodiversità, nelle pagine Facebook ALSIA del Gruppo Biodiversità agricola e alimentare della Basilicata, e nel sito dell’ALSIA Basilicata, sto mantenendo i contatti con il mondo fuori casa. Ammiro le foto delle fioriture dei campi, degli alberi da frutto. Apprendo della fioritura della “prima orchidea” nelle nostre zone. Imparo a distinguere le fioriture di pomacee, di pero “zilariello”, di pero "nera" e di ciliegio “amarena”del centro sperimentale di Rotonda, di antiche varietà di ciliegio del sito di conservazione in località Zarafa di Viggianello,di pero “maiatica”, di pero “scesciua”, di pero “signora”, di pero “moscarella”, quella di cui parla Plinio il Vecchio. “Non so se sia la stessa, a me piace pensare di si. E mi piace pensare che vive da duemila anni nelle nostre contrade”, confida Concetta.
Silvano sostiene che "Lo scopo vero dell'agricoltura non è far crescere i raccolti, ma la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani" e lo fa citando Masanobu Fukuoka, l'autore di “un saggio filosofico e pratico sull'agricoltura naturale, una fonte d'ispirazione che ci indica la strada da percorrere per riscoprire l'equilibrio dei nostri terreni e del nostro clima con la natura”. Secondo Silvano “Meno schifezze chimiche usiamo e meglio è per l'ambiente e per noi stessi. Quest'anno voglio "muovermi all'indietro" con l'orto, con la speranza di migliorare”.
C’è tra gli associati chi ha un pero da innestare e chiede quale varietà antica si possa mettere e chi, invece, cerca qualche pala di fico d'india sulfarino, “quello che a maturazione fa arancione”.
Tonino ricorda che “L'uomo primitivo ai primordi ha trovato sostentamento nelle erbe spontanee scegliendo mediante il suo libero istinto quelle adatte per la sua alimentazione, le “alimurgiche” e le medicamentose per curare i suoi molteplici malanni. Sono convinto che il più grande serbatoio delle piante officinali esistente al mondo è sempre quello spontaneo, fermo restando l'importanza della coltivazione”.
Silvano aggiunge informazioni sulla tradizione, a Castronuovo di Sant'Andrea, il giorno delle Palme, del piatto tipico “i rasc-katielli”con la mollica. “La quantità di mollica con la quale si condiva la pasta era indice di buon auspicio per la resa del grano. Se ne metteva tanta sperando in un aumento della resa produttiva”.
Un dialogo: “Buongiorno, qualche giorno fa in un rudere abbandonato da tanti anni, da una finestra ho visto appeso a una trave una pianta secca di basilico. Adesso vediamo se nasce qualcosa?” “Sarà molto difficile: 40 anni sono tanti, però, se nasce facci sapere”.
Un lavoro di preparazione dei semi per il semenzaio del peperone bianco di Castronuovo di Sant'Andrea e per quello della melanzana bianca rigata di Senise. “Si tratta di un'antica tecnica. Si tengono i semi umidi e al caldo in una pezza, quando questi iniziano a ingrossare si mettono nel terreno, preparato appositamente per il semenzaio (letame e terra fine)”.
Luca spiega come :“l'iscrizione della segale iermana nel registro delle varietà da conservazione e deroga per la commercializzazione del seme del miscuglio di Carosella, sia frutto di un ottimo lavoro dato dalla resilienza dei singoli agricoltori che con parsimonia, hanno custodito queste antiche sementi non facendole scomparire. Merito però anche dagli enti preposti, con i singoli addetti ai lavori, quindi in questo caso l'Alsia, nello specifico "Pollino" di Rotonda, che ha sempre creduto in questi progetti di rivalutazione”.
C’è anche un siparietto tra amici: “Da domani ritorna il sole, i più fortunati potranno raccogliere ottimi asparagi spontanei”. “Facendo i lavori agricoli, che in questo periodo sono necessari, si incontrano asparagi, verdure selvatiche, funghi, tutto. Rispettando le norme, con mascherine e guanti”. “Chi possiede un terreno o vive nella natura, più di prima si rende conto della grande fortuna che lo circonda. Purtroppo chi vive in città, si sente braccato dal virus e dalle multe salate”.
Rocco, qualche giorno fa, ha avuto l’abilità di documentare dettagliatamente la nascita dell’ape regina dell’alveare: dalla larva di regina, immersa nella pappa reale, alla nascita per il volo nuziale.
Sono stato curioso testimone di dialoghi intercorsi, di scambi di informazioni, di conoscenze condivise, di relazioni umane, oltre che sociali, che formano un repertorio di valori vissuti e coinvolgenti. Era d’obbligo parteciparlo, socializzarlo, perché questo è il segno di protagonismo che si fa comunità e ne onora il patto.