Aniello Crescenzi: "Una storia che ci appartiene e che dobbiamo difendere"

A 70 anni dall'avvio della Riforma Fondiaria, il punto con il direttore dell'ALSIA. Progetti anche per tutelare il valore storico dei borghi
didascalia.

Il direttore dell'ALSIA, Aniello Crescenzi.

Data:11 Nov 2020

La trasformazione dell'agricoltura italiana, avviata dalla Riforma Fondiaria voluta dal Parlamento nel 1950, ha segnato in modo profondo soprattutto le regioni del Sud che proprio nella terra avevano sempre visto lo strumento di sopravvivenza e di sviluppo sociale. Il meccanismo consisteva nelll'esproprio e nella successiva distribuzione delle terre ai braccianti agricoli, rendendoli così piccoli imprenditori. 

“Nel 1950, l'economia e la società italiana vivevano grandi contraddizioni e nonostante ci fosse stato un grande sforzo per la ricostruzione post bellica emergeva uno squilibrio strutturale molto grave: l'agricoltura pesava per il 40% delle forza di lavoro attive, incidendo solo per il 28% sul prodotto nazionale lordo. Tale squilibrio era ancora più evidente nel Mezzogiorno dove a fronte di una incidenza del 37% sul PIL, l'agricoltura assorbiva ben il 52% delle forze di lavoro”. Così scriveva Giovanni Enrico Marciani nel testo “L'esperienza della Riforma agraria in Italia”, pubblicato da Svimez.

Quella fase storica rientra nello straordinario patrimonio dell'ALSIA, e fa parte di uno studio che nel 70° anniversario della Legge di Riforma segna un'accelerazione delle attività dell'Agenzia per la tutela e valorizzazione della straordinaria documentazione in suo possesso. Ne parla il direttore dell'Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in agricoltura, Aniello Crescenzi.

Il 70° anniversario della Riforma Agraria è un momento che per l'Alsia rappresenta una tappa fondamentale sulla quale si sta puntando?

In questi 70 anni si è registrata una profonda trasformazione del territorio sia dal punto di vista sociale che strutturale e imprenditoriale. Lo spirito della Riforma, che nacque dietro forte spinta della situazione dell'epoca, con una forte povertà e un fenomeno come quello dello sfruttamento, si caratterizzava come una vera e propria ristrutturazione dell'agricoltura e in particolare di quella del Mezzogiorno. Un cambiamento, questo, che era nato in seguito alle rivolte contadine contro la situazione che vivevano i contadini e che riguardava fattori socio-economici molto profondi. La redistribuzione della proprietà in favore dei contadini suppliva al tempo stesso al ruolo di sedare le proteste e rilanciare l'economia del territorio. Il divario Nord-Sud, d'altronde, era molto profondo, e per questo quegli strumenti di cambiamento e innovazione intervennero in modo significativo. Le terre furono date in concessione anche a istituzioni come l'Università di Bari, a cui furono affidati i processi di ammodernamento su superfici che fra Puglia Basilicata e Molise che erano pari a 172 mila ettari, di cui 16 mila unità produttive, e 15 mila quote di superfici. Il territorio interessato dalle infrastrutture comprendeva 54 borghi, 8.200 case coloniche, 80 centri agrari: un patrimonio immenso. Proprio Matera e la Basilicata furono il cuore di quella fase storica,e in particolare l'area jonica del Metapontino. Secondo quanto emerge dagli studi di Alsia, restano da dismettere circa 6.500 ettari di terreni di cui oltre 2.200 sono di bosco”.

Come si è organizzata l'Alsia per l'azione di dismissione?

“Nella fase di riorganizzazione degli uffici e per il censimento dei beni, stiamo lavorando anche per recuperare i beni di cui si erano perse tracce a causa di difficoltà in passato nel reperimento delle informazioni. Attualmente stiamo chiudendo questo passaggio che però ha risentito di proroghe sia per il Covid che per l'ipotesi di rivisitazione del regolamento di attuazione di dismissione dei beni della Riforma. Quest'ultimo in particolare è in divenire fino all'inizio del 2021. Il nuovo regolamento tende a fornire un'ulteriore spinta verso il completamento della Riforma, ma non possiamo sottovalutare il peso degli oltre 6.000 ettari di terreni marginali di piccole dimensioni che in questi 70 anni hanno vissuto percorsi non sempre di facile gestione. Con questa rivisitazione vogliamo snellire le procedure attribuendo un prezzo equo ai terreni, che è il nostro obiettivo centrale viste anche le forti difficoltà del settore in questo momento”.

Il rallentamento ha modificato in qualche modo il lavoro dell'Alsia?

“Gli uffici continuano senza sosta il processo che al termine di questa fase emergenziale ci consentirà di lavorare con velocità. Siamo in fase di riorganizzazione degli uffici per efficientare ulteriormente la dismissione, senza trascurare che accanto a questo meccanismo affiancheremo un sistema di supporto alle attività agricole e all'introduzione di innovazioni utili per un'agricoltura più moderna. Dalla consulenza agli altri servizi, si conferma il nostro ruolo di intermediario di queste opportunità nate dalle esigenze del mondo agricolo che ci vengono trasferite grazie al rapporto diretto con i territori. Nella moderna agricoltura, le innovazioni hanno meccanismi di sviluppo molto veloci e questo vuol dire muoversi con la massima rapidità”.

La Riforma ha avuto ricadute storiche molto importanti come ad esempio quella di Borgo Taccone, ripresa da molti studi e richiamata in numerose ricerche. In che modo l'Alsia vuol mettere a sistema questa importante risorsa?

“Siamo una vera e propria cassaforte grazie a un valore inestimabile che conserviamo: manoscritti e documenti originali sulla nascita della Riforma, dei borghi e successivamente la strutturazione territoriale. Si tratta di un patrimonio che richiede risorse adeguate per poter innanzitutto conservarlo in sicurezza per poi valorizzarlo nel modo più adeguato attraverso la dematerializzazione dei documenti ma anche con la riscoperta dei borghi, musei a cielo aperto il cui significato va tramandato alle nuove generazioni. Non si può trattare un borgo che racconta una storia culturale e sociale, al pari di un semplice podere: ecco perchè è necessario riacquisirli e ristrutturarli con il coinvolgemento di una serie di istituzioni tra cui gli enti locali, per raccontare un territorio composto da tanti elementi”.

Una parte importante di questo lavoro è quella rientrata nell'ambito del progetto che un anno fa era stata sviluppata con il Museo di Policoro e la Fondazione Matera-Basilicata 2019?

“Non solo. Insieme all'Università della Basilicata, al FAI, all'Unesco e agli enti territoriali stiamo mettendo a punto un progetto per riappropriarci dei borghi. E' mia intenzione ritirare dalla vendita, laddove possibile, alcune strutture rappresentative dei borghi per poterle restituire alla comunità in modo collettivo grazie a operazioni di rivalutazione”.

Questo vuol dire farne, ad esempio, centri visita e di approfondimento storico sulla Riforma?

“Sì. Ogni anno, infatti, l'Alsia riceve numerose richieste di centri studio italiani e internazionali che vogliono approfondire in modo scientifico le vicende legate ai borghi. Perchè non far sì che queste aree diventino il racconto di una storia? In quanto alle risorse economiche, il mio personale convincimento è che serva sempre un progetto valido che le attragga. Senza una idea forte, di valore, i fondi non servirebbero a nulla”.



 

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Temi
Riforma Fondiaria
Autori
Antonella  Ciervo

Fpa

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