Grano duro coltura strategica per l’Italia, ma la redditività resta legata agli aiuti PAC

Spunti di riflessione dal focus pubblicato di recente dal CREA, che analizza i dati di del campione di aziende della RICA
didascalia.

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Data:Sat Apr 30 10:55:00 CEST 2022

Il grano duro è strategico per l’Italia, che vanta un’industria molitoria e della pasta di importanza mondiale. Tuttavia la componente agricola della filiera soffre notoriamente di bassa redditività. Le rese produttive sono molto variabili nel paese, influenzate delle differenti condizioni pedoclimatiche territoriali e dall’efficienza della tecnica agronomica adottata. I prezzi, trattandosi di una commodity (materia prima fungibile scambiata sul mercato mondiale), dipendono dal mercato internazionale, e pertanto sono spesso influenzati da fenomeni finanziari speculativi e risentono facilmente di contingenze internazionali negative come sta accadendo in questi mesi con l’aumento dei costi dell’energia e la guerra in Ucraina. La redditività della coltura dipende in modo rilevante dagli aiuti PAC e da eventuali incentivi nazionali per l’adesione a progetti di filiera.

Nell’attuale momento di complessa crisi internazionale il prezzo del grano duro è salito a valori mai visti, superiori a 55 €/q, ma anche fertilizzanti ed energia hanno registrato rincari insostenibili. Si tratta, però, di una situazione congiunturale che progressivamente tenderà a ritornare verso una condizione strutturale nella quale, al netto dei fenomeni speculativi finanziari sempre presenti, il mercato tornerà ad essere regolato dall’andamento dei raccolti nei paesi grandi produttori.

Un primo elemento di normalizzazione sul piano della produzione si avrà già nel 2022, con raccolti estivi che si prevedono nella norma in tutte le aree di coltivazione nel mondo e in grado di ricostituire in parte le scorte. In Canada, dopo il massiccio calo di produzione del 2021 (- 30%), le superfici seminate per il raccolto autunnale di quest’anno sono aumentate di circa il 10%. Ma volendo ragionare di redditività a fini di programmazione aziendale bisogna fare riferimento a condizioni strutturali medie di mercato, priva di valori estremi eccezionali. A tale proposito può essere molto utile prendere spunto da un recente focus sul grano duro pubblicato dal CREA che analizza costi di produzione, prezzi, margini e aiuti su un campione rappresentativo di aziende della Rete Italiana di Contabilità Agraria (RICA) nel periodo 2016-2020 (CLICCA QUI). Il lavoro adotta una metodologia semplice ed efficace per l’analisi del costo totale di produzione, facilmente utilizzabile anche dagli stessi operatori per valutare il livello di sostenibilità economica dell’azienda.

 

Dati aggregati del settore

Il grano duro occupa oggi in Italia una superficie di circa 1,2 mln di ettari, pari al 43% di tutti i cereali. Nel 2000 era circa 1,7 mln ed è diminuita gradualmente negli anni fino ad attestarsi su circa 1,2 mln nel 2008 e da allora si può dire che si è mantenuta costante intorno a questo valore (ISTAT).

La produzione di granella, invece, è diminuita in misura inferiore grazie all’incremento delle rese. Si consideri che nel 2000, a fronte di una superficie di 1,66 mln di ettari coltivati, la produzione era di 4,4 mln di tonnellate con una resa media di 26,9 q/ha, mentre a partire dal 2010, con 1,2 mln di ettari, si mantiene mediamente attorno a 4 mln di tonnellate con una resa media di 33 q/ha.

Oltre il 70% della superficie è concentrata in 5 regioni: Puglia, Sicilia, Basilicata, Marche ed Emilia Romagna. La Basilicata rappresenta poco meno del 10% della superficie e l’8% della produzione nazionale.

A livello europeo la produzione italiana rappresenta il 57% di tutto il grano duro prodotto nell’UE, per cui l’Italia risulta il maggiore produttore europeo (ISTAT). Il fabbisogno annuale di grano duro dell’industria molitoria e pastaia italiana si aggira attorno a 6,5 mln di tonnellate (tabella 1), per cui annualmente si importano circa 2 mln di tonnellate, principalmente da Francia, Canada, USA, Grecia, Ungheria. La percentuale di autoapprovvigionamento risulta tra il 60 ed il 70% (ISMEA, ITALMOPA

 

Tabella 1. Fabbisogni di grano duro in Italia (.000 di tonnellate) (Fonte: ISMEA)

 

2017

2018

2019

2020

2021

Produzione

4.320

4.246

3.963

3.997

4.137

Importazioni

2.112

1.799

2.465

3.131

2.319

Esportazioni

498

140

19

29

138

consumo apparente

5.935

5.905

6.410

7.099

6.318

% di autoapprovvigionamento

73%

72%

62%

56%

65%

 

Caratteristiche del campione analizzato

Il campione di cui sono stati analizzati i dati contabili RICA è costituito da 7.329 aziende, circa 1.800/anno dal 2016 al 2019. Queste ricadono per il 50% nelle 5 regioni Puglia, Sicilia, Basilicata, Marche ed Emilia Romagna. Il 32% delle aziende ha una superficie (ettari) inferiore a 5, il 26% tra 5 e 10, il 21% tra 10 e 20, il 21% superiore a 20. Rispetto all’altitudine il 60% è in collina, il 26% in pianura e il 14% in montagna. Nell’85% dei casi si tratta di aziende non specializzate nella coltivazione del grano duro (ordinamenti misti). Il 60% produce in granella (quintali) in quantità inferiore a 300, il 23% tra 300 e 600 e il 17% oltre i 600. Alcuni risultati medi dell’indagine sono riportati in tabella 2.

 

Tabella 2. Dati medi del periodo 2016-2020 rilevati per il campione

Superficie media coltivata

10,50

ha

Utilizzo medio delle macchine aziendali

16.00

ore/ha

Impiego di lavoro aziendale

30.00

ore/ha

Resa in granella

39,00

q/ha

Produzione lorda unitaria (solo prezzo granella)

24,83

€/q

Produzione lorda unitaria (incluso paglia)

25,80

€/q

Produzione lorda

952,00

€/ha

Costi diretti (spese specifiche)

396,00

€/ha

Margine lordo (Produzione – Costi diretti)

556,00

€/ha

Aiuto accoppiato alla produzione

62,00

€/ha nel 2016

100,00

€/ha 2017 – 2019

Aiuto disaccoppiato (pagamento di base + greening)

350,00

€/ha

 

La resa media di 39 q/ha deriva da una serie di valori quasi costante durante il periodo, mentre il prezzo medio di 24,83 €/q è influenzato da un primo incremento nel 2019 a 25,55 € ed un rialzo a 30,56 € nel 2020, partendo da 22,69 €/q nel 2016.

L’analisi del CREA non tiene conto dell’eventuale premio alla qualità del prodotto finanziato con risorse nazionali nei contratti di filiera, che può arrivare fino a circa 100 €/ha, in quanto non è una condizione generalizzata per tutte le aziende.

 

La struttura del costo totale di produzione

L’analisi della struttura del costo di produzione è stata impostata sui valori unitari, cioè riportando tutto in € per quintale di granella. Lo schema adottato, che prevede l’aggregazione delle voci di costo in 4 livelli di cui l’ultimo rappresenta il costo totale di produzione, è riportato in tabella 3.

Il 1° livello è costituito dalle spese specifiche del processo produttivo o costi diretti. La differenza con il prezzo di vendita è il margine lordo unitario; rappresenta il valore degli input nel processo produttivo (mezzi tecnici).

Il 2° livello considera in più i costi per l’impiego delle macchine aziendali.

Il 3° livello considera in più la remunerazione del fattore lavoro.

Il 4° livello comprende infine le spese generali ed equivale al Costo Totale di produzione.

Se il prezzo di vendita copre il costo totale unitario significa che tutti i fattori impiegati nella produzione sono stati remunerati e la differenza rappresenta il reddito netto dell’agricoltore.

 

Tabella 3. Struttura del costo totale di produzione nel periodo 2016-2019 e margini (valori medi). Prezzo della granella 24,83 €/q (Fonte: Rielaborazione su dati CREA)

LIVELLO

DESCRIZIONE

VOCI DI COSTO

€/q.le

% CT

MARGINE

(€/q)

1° livello

Spese specifiche

11,61 €

47,2% del Costo Totale

Sementi

Fertilizzanti

Difesa

Contoterzismo

Altre spese*

3.30

3.93

1.27

2.65

0.46 

13.4%

16.0%

5.2%

10.8%

1.9% 

13,22

2° livello

1° + macchine aziendali

13,86 €

Carburanti

Lubrificanti

Manutenzioni ordinarie

2.25

9.1%

10,97

3° livello

1° + 2° + lavoro aziendale

22,86 €

Lavoro impiegato per il processo produttivo (retribuito e non retribuito)

9.00

36.6%

1,97

4° livello

1° + 2° + 3° + spese generali

24,62 €

Affitti

Ammortamenti

Spese e oneri di carattere generale

1.76

7.1%

0,21

 

 

 

24,62

100%

 

* Altre spese specifiche (assicurazioni specifiche, certificazioni, ecc.)

 

Nel periodo esaminato, mediamente, il costo totale è pressoché uguale al prezzo di vendita della granella, con un margine di 0,21 €/q. Certamente esiste molta variabilità nel campione, ma il dato medio conferma che, a livello di settore, la redditività netta è strettamente legata al sostegno comunitario.

Tralasciamo tutte le successive analisi di dettaglio, segnalando comunque che l’analisi per classe di resa evidenzia come solo la classe <30 q/ha mostra un costo di produzione superiore al prezzo di vendita, mentre l’analisi per regione mostra che il costo totale medio più basso è in Emilia Romagna con 22,55 €/q e cresce progressivamente verso sud, fino al valore più alto in Basilicata di 24,68 €/q.

Per le rese si osserva una variabilità da nord a sud in senso contrario: 57,84 q/ha in Emilia Romagna, 38,96 in Molise, 34,23 in Puglia, 30,48 in Basilicata. La maggiore variabilità si rileva rispetto al territorio e i risultati economici della coltura seguono esattamente la latitudine, raggiungendo i valori peggiori al sud.

Esiste poi un altro fattore, spesso trascurato, che incide direttamente sul risultato, vale a dire la forte variabilità degli importi dei titoli PAC. I dati del CREA riportano un aiuto medio di 350,00 €/ha (base + greening). Va ricordato, invece, che sono molti i titoli da 130 € derivanti dal modello di convergenza parziale adottato con la PAC 2015-2020 il quale fissava così in basso il valore minimo dei titoli, da raggiungere gradualmente in 5 anni in caso si partisse da valori inferiori nel 2015.

Chi è in possesso di questi titoli, a parità di costo di produzione, può contare su un aiuto comprensivo di greening di 198 €/ha, valore ben inferiore a quello medio di 350 € risultante dal campione CREA. D’altro canto esistono titoli con valori ben più alti di 350 (fino a qualche migliaia di euro) che danno origine, invece, a redditività più che accettabili.

Come si vede, la situazione è molto variegata. Le critiche che vengono mosse alla PAC per il basso valore dell’aiuto accoppiato (100 €/ha che potrebbero essere circa 60 € dal 2023) dovrebbero estendersi anche alle scelte applicative della PAC in Italia che hanno sempre tutelato i valori storici dei titoli e non hanno mai perseguito obiettivi di redistribuzione dei pagamenti diretti a vantaggio del riequilibrio territoriale.

Agrifoglio n. 108 -  

Temi
Rubrica
coltivando
Autori
Nicola Liuzzi

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