Vecchie e nuove problematiche fitosanitarie in Alta Val d’Agri
Il punto su melo, pero, ortive e olivo. Ma anche uccelli e roditori fanno la loro parte nel danneggiare le piante
Data:21 Jul 2020
Seppure in presenza di prodotti di ottima qualità dovuta alle caratteristiche pedoclimatiche dell’area, ubicata oltre i seicento metri sul livello del mare e quindi con escursioni termiche elevate tra giorno e notte, nonché per l’utilizzo di acque esclusivamente sorgive, il mercato della orticoltura della Val D'Agri, in Basilicata, soffre.
Il fagiolo borlotto da sgrano si è ridotto di un terzo nell’ultimo decennio, passando dagli oltre duecento ettari a circa una ottantina. La coltura ormai scomparsa dallo scenario produttivo locale è il peperone tipologia per arrosto, che da una cinquantina di ettari si è ridotto ad una decina ma con varianti diverse ovvero con cultivar piccanti, le papaccelle e il peperone di Senise. Lo zucchino si conferma il re delle ortive con oltre duecento ettari coltivati e, seppure con alti e bassi di mercato, riesce ad avere ancora una sua “attrattività produttiva”. Anche il melone, tipologia retato, è ormai scomparso: ridotto a qualche ettaro dai 45 coltivati nel lontano 2013.
Di seguito saranno trattate le problematiche che sono risultate in crescita sulle principali colture dell’area.
Melo e pero
L’unico virus presente è il “Virus del mosaico del melo ApVM” (figura 1). Tra le cultivar commerciali più colpite ci sono la 'Golden Delicious' e la 'Jonathan' mentre le altre varietà non evidenziano particolari sintomi. Tranne nei casi più gravi, le piante infette possono dare origine a riduzioni di produzione anche del cinquanta per cento. È stato rinvenuto nel corso degli anni solo in due aziende e solo su Golden Delicious e nel tempo non si è esteso alle altre piante con la potatura.
Tra i batteri ancora non è stata rilevata la presenza del “Colpo di fuoco batterico” da Erwinia amylovora che sta invece decimando i frutteti del Nord Italia. Del tutto comune è invece la presenza del “Tumore batterico” il cui agente Agrobacterium tumefaciens (nome scientifico aggiornato a Rhizobium radiobacter) (figura 2) si manifesta attraverso la presenza di tumori a livello del colletto e sulle radici. È molto probabile che l’arrivo nei meleti lucani sia avvenuto da piante provenienti da vivai infetti.
Da segnalare in aumento sono le fisiopatie e le parassitosi dovute al cambiamento climatico. Si registrano maggiori danni da freddo su pero e olivo (danneggiamento della corteccia con fessurazioni della stessa e diffusi disseccamenti delle branchette) (figura 3) e di danni da gelate tardive (cinghiatura sui frutti di pero) (figura 4).
Di contro, l’aumento estivo delle temperature ha favorito la diffusione della mosca della frutta soprattutto sulle mele. Parliamo della Ceratitis capitata, che in via esclusiva attacca solo le varietà di melo a buccia gialla provocando il disfacimento della polpa di cui si nutrono le larve fuoriuscite dalle uova deposte in gruppi dagli adulti durante la fase di maturazione dei frutti (figura 5). La mosca della frutta è l’unico dittero rinvenibile sul melo. Si tratta di un insetto altamente polifago ovvero in grado di attaccare tutta la frutta in via di maturazione. Attacca agrumi, pesche, albicocche, fichi, nespole e non disdegna melo e pero, nutrendosi della polpa che porta a disfacimento e marcescenza. Non tutte le annate sono da mosca, infatti l’attacco si manifesta in genere quando si verificano condizioni climatiche particolari (estati calde e anticipo di maturazione) e scarsità di altra frutta da attaccare.
Molto comune su Golden, e meno presente sulle altre cultivar, è la scottatura solare (figura 6) dovuta alla esposizione diretta dei frutti a temperature esterne superiori ai 32-35° che porta sia alla suberificazione della parte esposta ai raggi diretti del sole che alla spaccatura degli stessi e sui quali, in presenza di un andamento climatico particolarmente umido, si insedia la muffa a circoli (Monilia laxa- Monilina fructigena).
In notevole incremento sono i danni diretti arrecati dal rinchite dei frutti (Rhynchites bacchus) (figura 7). Si tratta di un coleottero che vive a spese dei frutti che danneggia irrimediabilmente e che porta a disseccare o a cascolare. In aumento perché l’ambiante circostante ai frutteti è ricco di essenze forestali che garantiscono il ricovero degli adulti durante l’inverno.
A chiudere questa breve rassegna di avversità, parassitarie e non, va ricordato l’aumento rilevante di danno da volatili (gazze, ghiandaie, tordi e corvidi) che beccano i frutti rendendoli spesso marcescenti e non commerciabili (figura 8). L’area ricade nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano: pertanto tutti gli animali selvatici trovano facile ricetto e la loro smisurata crescita numerica, in modo particolare quella dei cinghiali, sarà il maggior problema del futuro agricolo valligiano.
L’ultimo accenno riguarda i roditori. L’incidenza del danno, ormai esponenziale, sta creando una difficoltà non risolvibile con i comuni mezzi a disposizione. La situazione si sta aggravando per la scomparsa di siepi e boschetti, che consentivano e consentono il riparo ai predatori, e perché l’attuale gestione del meleto prevede terreno non lavorato e inerbito, habitat ideale per le arvicole. Inoltre ciò consente di avere un costante nutrimento per le arvicole che si nutrono anche di erba, radici tenere e foglie di leguminose e la permanente copertura vegetale del prato li nasconde ai loro predatori aerei. I danni causati sono gravi e consistono nel rosicchiamento del colletto e delle radici (figura 9). I danni si manifestano generalmente in primavera. Il rischio è particolarmente elevato per i giovani impianti, e molto spesso le piante disseccano e muoiono. Le rosure poi rendono gli alberi più fragili esponendoli a un più alto rischio di malattie del colletto e ad una minore stabilità.
Ortive
Nel corso degli anni, poche sono state le novità parassitarie che hanno riguardato le ortive. Forse la più degna di nota è stata nel 2011 quando una partita di semi di fagiolo affetta da Pantoea ananatis decimò diversi campi coltivati, tant’è che nel 2012 la superficie si contrasse passando da 200 a 135 ettari. Si tratta di un batterio ad habitat intercellulare che provoca maculature, picchiettature e marciumi (figura 10). La dannosità è così elevata che in genere l’intero raccolto è compromesso. È ormai dimostrato che l’infezione parte dal seme per diffondersi all’intero campo coltivato per mezzo dell’acqua di irrigazione che viene distribuita in genere con micro irrigatori o irrigatori sopra chioma.
Su zucchino, la più importante coltura dell’area, va menzionato l’aumento della Erwinia amilovora, un altro batterio che in particolari annate umide e piovose attacca prima il fiore per poi estendersi al frutto e infine all’intera pianta (figura 11). La raccolta effettuata scalarmente e con l’utilizzo del coltello favorisce la diffusione del batterio.
Sul pomodoro sono in aumento le micoplasmosi. Si tratta della virescenza ipertrofica o Stolbur (figura 12). Le piantine infette, in genere lo sono già dal vivaio.
Legati agli sbalzi temici, la tuberomania è una fisiopatia presente su patata (figura 13). Interessa i tuberi seme che, dopo un periodo di temperature alte, vengono seminati con temperature basse o in terreni freddi e che avendo avviato il processo di germogliamento lo arrestano producendo solo piccoli tuberi, senza che vi siano germogli in superficie. Il risultato finale è una scarsa produzione e moltissime fallanze in pieno campo. Le varietà precoci sono più sensibili rispetto a quelle tardive.
Olivo
Nel 2020 si segnalano danni da gelo su olivo.