Focus

Una filiera per sostenere la micro-economia del territorio

Studi per contenere i danni al sistema agricolo locale, biodiversità e habitat naturali nel Parco nazionale Appennino Lucano, Val D'Agri e Lagonegrese
didascalia.

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Data:Tue Mar 31 12:58:00 CEST 2020

Come nel resto d’Europa, la gestione del cinghiale in Italia resta una questione particolarmente spinosa. Il problema che ci troviamo ad affrontare oggi a livello nazionale è figlio di una pessima gestione del territorio e di una serie di dannose scelte riguardanti progetti di ripopolamento della specie a partire dagli anni ’50.

Questi progetti vennero portati avanti probabilmente in assenza di un concreto studio territoriale di base e soprattutto senza tener conto dell’evoluzione ambientale e socio-economica alla quale le nostre aree interne sarebbero andate incontro.

A seguito dei ripopolamenti, alcuni fattori hanno contribuito all’espansione della specie, soprattutto la mancanza di predatori in natura, l'abbandono delle campagne, il rimboschimento dei territori, inverni sempre più miti, ma anche l’alimentazione supplementare fornita da scarti alimentari e spazzatura.

Sulla reale dimensione Nazionale del problema ci sono ancora molte ombre. Poche sono le informazioni sulla dimensione demografica della specie e soprattutto manca un approccio condiviso al problema. Ognuno a livello regionale agisce come meglio crede e spesso lo fa sulla scorta di dati insufficienti e con pratiche e azioni non sempre efficaci o meglio che hanno anche delle ripercussioni sull’ambiente (vedi contaminazione da piombo, uso di dissuasori di vario genere ecc.). La soluzione al problema appare lontana anche in virtù del fatto che spesso molti continuano ad alimentare un allarmismo ingiustificato che esaspera i toni e che nulla aggiunge ad una reale risoluzione del problema.

L’impegno del Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese

Con l’obiettivo di tracciare un quadro completo del problema della gestione degli ungulati, recentemente il Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese (PNAL) ha preso parte al progetto finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), intitolato; “Impatto degli ungulati sulla biodiversità dei parchi italiani”. Nel progetto sono coinvolti anche i Parchi Nazionali del Cilento Vallo di Diano-Alburni, del Pollino, dell’Arcipelago Toscano, dell’Asinara, delle Gran Sasso e Monti della Laga, delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona Campigna, e dell’Arcipelago della Maddalena. Scopo del progetto è quello di monitorare permanentemente gli impatti degli ungulati sugli habitat e sugli ecosistemi. Questo monitoraggio è finalizzato a sviluppare una conoscenza maggiore delle problematiche locali legate alla presenza degli ungulati così da mettere in campo soluzioni specifiche di prevenzione e mitigazione del danno all’ecosistema per la tutela della biodiversità e del contesto socio-economico. Grazie a questo progetto è stato possibile sviluppare e delineare un primo piano di gestione degli ungulati basato sulla cattura dei cinghiali mediante chiusini, già collaudati e verificati nell’ambito dello stesso progetto nell’area del Parco Regionale della Murgia Materana. 

Quali sono i numeri dell’impatto degli ungulati nell’Appennino Lucano

Dal report finale del progetto “Impatto degli ungulati sulla biodiversità dei parchi italiani” si evince che nel PNAL, ad oggi, le specie di ungulati selvatici che frequentano il territorio sono tre; il cinghiale, il cervo e il capriolo. Ovviamente la specie che ha una distribuzione più significativa risulta essere il cinghiale. Questa specie nel dopoguerra aveva un areale estremamente ridotto in Basilicata e sembra che fosse rimasto solo un piccolo nucleo di individui nella parte compresa nell’ex area demaniale di Gallipoli Cognato e nel Monte Vulture.

Negli anni ’80 anche in Lucania sono stati effettuati dei ripopolamenti con individui di provenienza est-europea, con lo scopo di ricostituire una popolazione regionale sufficiente a sostenere l’attività venatoria. Le attività di reintroduzione hanno favorito una ripresa rapida della specie grazie al fatto che i nuovi individui erano in grado di generare una prole numericamente maggiore rispetto alla razza autoctona e soprattutto rispetto al passato, questa specie ha trovato un territorio molto più idoneo alle sue esigenze, con uno scarsissimo grado di competitività con altri ungulati e con scarsa presenza di predatori.

Una prima stima preliminare operata nell’ambito del progetto “Impatto degli ungulati sulla biodiversità dei parchi italiani” parla di un valore medio variabile che va da 9 a 14 cinghiali ogni 100 ettari. E’ ovvio che questa stima si riferisce alle aree a più alta frequenza di cinghiale e quindi questo valore non può semplicemente essere moltiplicato per tutto il territorio del Parco anche in virtù del fatto che la frequenza della specie in alcune aree è molto influenzata anche dalla stagione e dalla disponibilità di risorse.

Quantificazione dei danni causati dagli ungulati al sistema agricolo locale

Nel 2018 la percentuale di comuni del PNAL che hanno denunciato di aver subito danni da ungulati sono stati il 62,06%. I comuni maggiormente colpiti in ordine decrescente sono: Tramutola, Moliterno, San Martino d’Agri, Sarconi e Laurenzana. Nel solo 2018 per i danni imputati agli ungulati, l’ente Parco ha erogato indennizzi per un totale di € 127.607,28. Da quando l’Ente ha iniziato ad erogare gli indennizzi, ossia negli ultimi 10 anni, sono stati spesi all’incirca mezzo milione di euro.

Sul totale dei danni denunciati, solo nel 20% dei casi si trattava di danni ripetuti alle stesse aziende, mentre nel restante 80% dei casi si è denunciato un solo evento di danno subito per singola azienda. Quindi sono pochi i casi in cui si è avuto un danno ripetuto, che possiamo considerare di maggiore incidenza sull’economia delle aziende, nella maggior parte dei casi si è trattato di eventi dannosi episodici.

Un altro fenomeno legato alla presenza dei cinghiali sono gli incidenti causati da road-killing (investimento), spesso questi sinistri finiscono con la morte dell’animale e con diversi danni alle auto. Dal 2009 al 2017 nel territorio del PNAL sono stati denunciati 47 casi di sinistri stradali che hanno visto coinvolti cinghiali. Di questi il 26% risultano essere più preoccupanti in quanto si sono verificati sulla SS598, che è una strada a scorrimento veloce.

L’impatto degli ungulati sugli habitat

Tra le varie conseguenze della presenza del cinghiale sul nostro territorio emerge una sua particolare pressione in alcune aree sugli habitat prioritari (Direttiva Habitat 92/43/CEE); 6210*: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo e 6220*: Percorsi sub-steppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea. Su questi habitat in alcune aree è stato verificato un danno alla superficie prativa con parziale sradicamento di diverse specie vegetali tra le quali diverse preziose orchidee. I danni in questione per estensione e frequenza non sono da considerarsi comunque una particolare minaccia alla conservazione di questo tipo di praterie all’interno dell’area protetta. Potrebbero invece essere più preoccupanti i danni causati direttamente ad alcune popolazioni di specie di orchidee, uccelli (nidificanti a terra), rettili o micro-mammiferi. Questo provocherebbe una perdita di biodiversità, che determinerebbe un grosso problema per l’area protetta, in quanto significherebbe un clamoroso fallimento delle proprie politiche di conservazione. Ma non solo, lo stesso danno si tradurrebbe anche in un danno economico per l’ente e per la regione in quanto la perdita di alcune specie o habitat, potrebbe far venire meno la possibilità di attivare particolari fondi europei e nazionali destinati proprio alla tutela di specie e habitat.

Le soluzioni

Le soluzioni per poter effettuare un reale controllo demografico sulle diverse specie di ungulati, in particolar modo dei cinghiali, sono diverse, e se messe in campo in maniera coordinata e concreta possono dare degli ottimi risultati. Al classico metodo dell’abbattimento possono essere affiancate azioni che risultano essere più in linea con le finalità dell’area protetta, ossia che non comportano contaminazione degli ecosistemi (inquinamento da piombo) disturbo alla fauna e alle persone.

Al di là di una serie di azioni mirate ad un corretto uso del territorio, e in riferimento ad una serie di nuove tecniche che si stanno sperimentando, come ad esempio il controllo demografico con metodi alternativi (la castrazione chimica, dissuasori chimici naturali ecc.), le azioni che nell’immediato sembrano dare dei buoni risultati sono:

  • l’allestimento di recinzioni elettrificate;
  • la predisposizione di aree di ristoro e pascolo senza danno;
  • la “cattura con recinti o gabbie-trappole”.

Quest’ultima soluzione potrebbe portare per altro a sviluppare una filiera di valorizzazione del cinghiale non solo indirizzata allo sfruttamento delle carni e della pelliccia per il mercato tradizionale, ma anche per rifornire carnai (punti di alimentazione ausiliare per le specie necrofaghe) e altre attività eco-turistiche legate all’osservazione della fauna selvatica. Quest’ultima prerogativa apre degli scenari socio-economici incredibilmente interessanti per le aree come le nostre e per altro questo parco ha già patrocinato un’iniziativa simile, il progetto “WildLucania” (2015-2020) che ha dimostrato nei 5 anni di sperimentazione che esiste un grosso mercato eco-turistico legato alle attività di osservazione degli animali in natura, fornendo un’esperienza e dei risultati straordinari. Questo ente non ritiene invece che gli abbattimenti o l’utilizzo di dissuasori acustici, poco efficaci peraltro, possano avere un loro utilizzo nell’area protetta a causa di problemi normativi, etici, e del forte impatto che causano all’ecosistema e alle persone.

L’Area Tutela e Sviluppo del Territorio dell’Ente ha già avviato le procedure per sottoporre a VAS il piano di cattura degli ungulati incentrato sull’uso di chiusini/gabbia. Una volta esperite tutte le ultime procedure autorizzative in collaborazione con gli Uffici regionali, l’ente sarà in grado di installare i chiusini e avviare così nel concreto le azioni di contenimento degli ungulati. Il piano prevede, così come concordato con la Regione e con gli altri partner del progetto di gestione, che gli individui catturati vengano poi avviati al normale procedimento di macellazione e quindi al mercato delle carni locali, previa autorizzazione degli organi di controllo sanitario locale.

La caccia indiscriminata non è la soluzione, tanto meno il bracconaggio

Una importante pubblicazione scientifica basata su dati provenienti da 18 Paesi europei raccolti tra il 1982 e il 2012 (Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe. Massei G. at al.: 2015), ha dimostrato come il problema non può essere affrontato come in passato semplicemente attraverso la caccia.

La caccia indiscriminata va ad alterare la struttura della popolazione e la sua distribuzione sul territorio. La mortalità naturale nelle popolazioni di cinghiale, data da fattori climatici, patologie e predatori (in particolar modo lupo), incide maggiormente sulle classi giovanili, mantenendo una struttura della popolazione più stabile, ed una minor dispersione di soggetti nel territorio. Per contro, l’attività venatoria, agisce principalmente sulle classi adulte, innescando delle risposte compensative nella popolazione di cinghiale. Quindi la mancanza di predatori naturali, che agiscono specificatamente su individui deboli, giovani e malati, l'abbandono delle campagne e la caccia indiscriminata portano a “una destrutturazione della popolazione che comporta un maggior tasso riproduttivo, una riproduzione precoce nelle femmine, ed un maggior tasso di dispersione dei soggetti giovani, quelli che sembra contribuiscono maggiormente a creare danni alle attività agricole”. I giovani essendo meno esperti degli adulti, ed avendo una minor conoscenza del territorio tendono a frequentare aree a maggior rischio per la loro incolumità (strade, centri abitati ecc.) e sono spesso anche più socievoli con le persone.

La questione della gestione della fauna problematica va affrontato con serietà, affidandosi a professionisti competenti e scrupolosi e attivando un sistema di collaborazione e condivisione di dati tra enti e strutture di ricerca locali e nazionali. Quello che ad oggi può sembrare un problema può diventare in realtà una nuova occasione di valorizzazione e sviluppo di una micro-economia sostenibile per i nostri territori.

Agrifoglio n. 93 -  

Temi
Autori
Ufficio Area Tutela e Sviluppo del Territorio,  Ente Parco Nazionale Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese

Marsico Nuovo (PZ)

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