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La cultura dell’olivo e dell’olio nel mondo antico e il caso di Ferrandina

E' in corso lo studio di un impianto del IV secolo a.C., vero e proprio unicum nel panorama magno greco, rinvenuto a poca distanza dall'antico "patriarca"
didascalia.

Il frantoio di Ferrandina (IV secoloa.C.), ricostruzione.

Data:02 Mar 2022

L'origine geografica dell'ulivo è ancora incerta. Resti fossili dell’albero che si ritiene ne sia stato il suo progenitore sono stati rinvenuti in diverse zone affacciate sul Mediterraneo. La più antica coltura si deve forse alle popolazioni semitiche stanziate tra il Caucaso e le coste siro-palestinesi. Qui iniziò il lungo processo di addomesticamento della pianta, si selezionarono le varietà a frutti grandi, si scoprì che se ne poteva trarre un liquido dai molteplici usi. Il codice di Hammurabi (1780 a.C.) attesta la conoscenza dell’olivo da parte dei Babilonesi. La coltivazione si estese poi all’Egitto dove l’olio, considerato un dono divino, ebbe un grande uso nella sfera funeraria e per la cura del corpo dei defunti. In seguito, forse grazie ai mercanti fenici, l’olivo raggiunse Creta, le isole greche, le coste italiane, la penisola iberica ed il nord Africa. A Creta, dopo il 1700 a.C., si sviluppò la più antica olivicoltura. Diverse tavolette d’argilla, che registravano le attività produttive dei palazzi minoici, indicano i luoghi di coltivazione delle piante e la destinazione dell’olio. Nel palazzo di Cnosso alcuni affreschi costituiscono le più antiche figurazioni di olivi e l’olio era conservato nei magazzini, entro grandi contenitori ceramici (pithoi). Giunto in Italia meridionale con i coloni greci, l’olivo fu largamente coltivato in Etruria e in Magna Grecia. Dati gli svariati usi che l’olio ebbe nell’antichità, non stupisce che i Romani abbiano cercato di coltivare olive in ogni territorio conquistato e che spesso abbiano ordinato, alle popolazioni vinte, il pagamento di tributi in forma di olio. Proprio a Roma nacque una borsa dell’olio dove commercianti ed importatori trattavano prezzi e quantità del prezioso liquido. Caduto l’impero romano, con le invasioni barbariche, le aree adibite all’olivicoltura si contrassero. Bisognerà attendere il tardo Medioevo perché l’olivicoltura torni a diffondersi in Italia. 

Nell’antica Grecia, stando al mito, l’olivo sarebbe apparso per la prima volta ad Atene. Gli dei, sapendo che l’Attica sarebbe diventata la regione più forte e ricca di tutta l’Ellade, decisero di insediarsi in città. Poseidone, arrivato per primo, con un colpo di tridente, fece sgorgare una fonte di acqua salata in seguito conservata nell’Eretteo (Fig. 1). Dopo di lui sopraggiunse Atena che piantò un ulivo, simbolo di pace e fertilità. Tra i due dei scoppiò una contesa per il possesso di Atene e Zeus, non essendo riuscito a conciliare i contendenti, decretò che un tribunale composto da tutte le divinità dell’Olimpo scegliesse il protettore. Grazie all’astensione di suo padre Zeus, Atena, che aveva fatto il dono migliore, ottenne il governo dell'Attica. Il mito giustifica il dominio della dea e sottolinea l’importanza che l’ulivo ebbe nell’economia regionale. Questo mito di fondazione torna più volte sui monumenti e troneggia al centro del frontone occidentale del Partenone (Fig. 2), il tempio, costruito per volere di Pericle e decorato da Fidia. L’ulivo, la civetta e la testa elmata di Atena sono simboli per eccellenza delle monete ateniesi (Fig. 3). Con una grande festa annuale e quadriennale, le Panatenee, il 28 del mese di Ecatombeone (luglio), gli Ateniesi celebravano la nascita della dea. La manifestazione comprendeva il sacrificio di cento giovenche, una grande processione e numerose gare musicali ed atletiche. Il premio per le gare era costituito dall’olio spremuto da piante sacre ad Atena che crescevano all’Accademia. Il liquido era contenuto entro apposite anfore cd. panatenaiche che, su un lato, raffiguravano Atena armata e sull’altro la gara relativa alla vittoria.

Nell’antichità erano svariati gli utilizzi, personali e pubblici, dell’olio. Partiamo dai primi. Il sapone non era noto e per lavarsi si ricorreva ad un impacco di sabbia, prima spalmato sulla pelle, poi rimosso utilizzando lo strigile. Una volta lavato, soprattutto il corpo degli atleti, veniva cosparso con preziosi unguenti oleosi ed aromatici. A differenza di quanto succede oggi inoltre, i profumi antichi erano su base oleosa e non alcoolica e, sia il mondo femminile che quello maschile utilizzavano quotidianamente olii e sostanze profumate per la cura del corpo. I profumi erano molto costosi e contenuti entro una enorme varietà di vasetti di piccole dimensioni prodotti per lo più a Corinto, Atene e Mileto. Ad Atene ed in Attica inoltre, data la pratica di ungere il corpo dei defunti, questi portaunguenti (lekythoi) costituivano un tratto distintivo dei corredi funerari.

Non diversamente da quanto accade oggi, l’olio era un importante condimento culinario. In questo caso esso era trasportato in anfore e, sulla mensa, era contenuto entro lekythoi a vernice nera. L’altro enorme ambito di utilizzo dell’olio nell’antichità greca e romana era infine legato all’illuminazione notturna. In mancanza di elettricità, la luce era infatti garantita da torce e lucerne che potevano essere singole o multiple, di argilla o, se di maggior lusso, di bronzo. Alcune raffigurazioni ceramiche raffigurano le operazioni di raccolta e spremitura delle olive. Su un’anfora a figure nere della fine del VI secolo a.C., alcuni uomini stanno battendo i rami carichi di un olivo, un lavorante è salito tra i rami; le olive cadono e sono raccolte in una cesta. Si conservano anche scene di spremitura delle olive mediante un torchio a leva con contrappesi mobili. Questo macchinario si componeva di una grande trave orizzontale di legno al di sotto della quale erano i fiscoli riempiti con la polpa. I contrappesi mobili, spingendo la trave verso il basso, generavano la pressione sui fiscoli. L’olio spremuto finiva entro una base sagomata e poi confluiva in un contenitore. Negli ultimi anni le indagini archeologiche hanno rinvenuto diversi impianti oleari. In Grecia, quelli più conservati sono a Thorikos, Clazomene, Olinto e, in Macedonia, vicino ad Anfipoli. Qui scavi molto recenti hanno messo in luce una fattoria ellenistica con un frantoio a macina di un tipo più recente (trapetum).

In Magna Grecia, uno dei rarissimi complessi produttivi finora noti, è stato rinvenuto a Ferrandina (MT) in località Sant’Antonio, a breve distanza dal secolare e celebre olivo noto come “Patriarca”. Le indagini, iniziate dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata ad opera della dottoressa E. Lapadula, a partire dal 2018 sono state riprese dall’Università degli Studi della Basilicata, sotto la direzione scientifica della sottoscritta. L’impianto, del IV secolo a.C. (Fig. 4), è costituito da una vasca quadrangolare in opera a secco (4 mq ca) destinata alla raccolta e alla decantazione dell’olio di seconda raffinazione. Scarsi, ma significativi, sono i resti del dispositivo pressorio. Gli scavi hanno restituito gli incavi per l’alloggio delle travi in legno usate per pigiare la pasta di frantumazione delle olive, due basi litiche di spremitura munite di solchi per incanalare l’olio e un sistema di canalette che convogliava il prodotto entro le vasche. Il complesso produttivo di Ferrandina, con ogni probabilità pertinente ad una fattoria di età lucana ancora da indagare, costituisce un vero e proprio unicum nel panorama magno greco. Inoltre, l’eccezionale rinvenimento di due noccioli combusti di Olea Europaea rinvenuti nel corso delle indagini effettuate nel 2019 dalla missione dell’UniBas-DiSU fornirà presto preziose informazioni sulla varietà degli olivi coltivati 2400 anni fa nel territorio ferrandinese e farà luce sulla sua oliva tipica: la Majatica.

Chi volesse approfondire la storia del frantoio, delle macine, dello scavo, del territorio ferrandinese e della coltura delle olive può recarsi ora al nuovo Museo Civico Archeologico di Ferrandina (Clicca QUI). 

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Autori
Maria Chiara Monaco

Università della Basilicata

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