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La coltivazione del peperoncino nelle aree interne della Basilicata

I produttori, custodi di sementi preziose, le consegnano ai vivai per la semina in ambienti protetti
didascalia.

Filari di peperoncino con piante di mais sullo sfondo.

Data:Fri Jan 31 10:56:00 CET 2020

Le generazioni che si sono susseguite nel tempo, oltre a tramandarsi le conoscenze sugli aspetti terapeutici e salutistici del peperoncino, hanno migliorato e selezionato ecotipi che si distinguono sia per l’estetica che per la piccantezza. Anche i nomignoli dialettali “riavliedd”, “cancaricchio”, “pepafort”, “peparul fort”, “cirasedda”, “cerasiello” sono peculiari e legati perlopiù al grado di piccantezza dello stesso. Nel periodo invernale era in uso nelle aree dell’Appennino lucano preparare un piatto povero ma forte: la “Ciauredda” in cui il peperoncino e la cipolla ne erano i principali ingredienti. Un uso particolare presente nella cucina lucana è quello legato al suo utilizzo in polvere negli insaccati e nella preparazione del prosciutto per la stagionatura.

Lasciando da paret l’aspetto culinario e addentrandoci in quello tecnico, va detto che le aree interne della Basilicata si caratterizzano sia per una elevata adattabilità pedoclimatica, che consente la facile coltivazione del peperoncino, e sia per la presenza di un vasto panorama varietale modellato ad ogni singolo areale.

La coltivazione del peperoncino inizia in serra. I produttori, custodi della preziosa semente, conferiscono i semi al vivaio che provvede alla semina in contenitore alveolato e, in ambiente protetto, ne seguono lo sviluppo e la crescita attraverso idonee irrigazioni e concimazioni. Dopo circa 60 giorni, raggiunta l’altezza di 10-15 centimetri e 6-7 foglie, le piantine sono pronte per il trapianto in pieno campo.

Nel frattempo, il terreno è stato preparato con un’aratura 25-30 centimetri, necessaria per interrare la sostanza organica (letame ben maturo) seguita da due fresature. Tra le due fresature si interrano i fertilizzanti “non organici” nel rapporto di una parte di azoto, 3 parti di fosforo e 3 parti di potassio. E’ consigliabile effettuare una baulatura del terreno se lo stesso è troppo argilloso o a rischio di ristagni idrici per la presenza di falde freatiche emergenti in superficie. Ciò permetterà di contenere alcune malattie, come le tracheomicosi (Fitoftora o cancrena pedale, fusariosi e verticilliosi), che utilizzano l’acqua come mezzo di diffusione. Il passo successivo è il trapianto, che avviene tra maggio e giugno, e il sesto più utilizzato è a fila semplice - meno diffusa è quella a fila doppia - con una distanza sulla fila di 40 cm e di 80 centimetri tra le file. L’investimento ad ettaro ammonta a circa 30.000 piantine. 

Per l’impianto di irrigazione si ricorre alla classica manichetta forata, meglio “autocompensante” se in presenza di terreni acclivi. Per il controllo delle infestanti sono necessari e sufficienti alcuni interventi di zappettatura sulla fila e di fresatura tra le file. Indispensabile poi è la rincalzatura che serve a migliorare l’ancoraggio delle piante al terreno. Le irrigazioni sono necessarie nelle fasi iniziali del ciclo vegetativo per un buon attecchimento delle piantine ma in generale durante tutto il ciclo colturale vanno contenute per evitare i ristagni e soprattutto la cascola dei fiori. E’ buona norma sospendere l’irrigazione durante le fasi di raccolta per aumentare la piccantezza delle bacche. Data la rusticità della pianta di peperoncino, non sono richiesti interventi con agrofarmaci. Durante periodi piovosi o con umidità dell’aria eccessivamente elevata è opportuno intervenire con prodotti cuprici, cioè a base di rame, che oltre ad essere ammessi dal “biologico” controllano tutte le avversità parassitarie sia di origine fungina che batterica. Generalmente nelle nostre aree non si esegue né il tutoraggio delle piante né la cimatura che invece vengono realizzate in altre zone per contenere l’eccessiva vigoria vegetativa.

Per le varietà destinate al consumo fresco la raccolta è effettuata in maniera scalare. Di solito inizia quando i primi frutti sono virati al rosso, è manuale e dura per tutto il periodo estivo. Lo stacco dei frutti avviene in media 4-5 volte tra agosto e settembre.

Per il prodotto da destinare all’essiccazione o alla trasformazione, la raccolta è unica e si effettua quando le piante hanno maturato tutti i frutti o buona parte di essi. Le piante vengono estirpate manualmente, private o meno della radice e appese a testa in giù in un locale fresco e ombreggiato. Quando i frutti diventeranno secchi e friabili tra le dita saranno pronti alla lavorazione.

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Agrifoglio n. 91 - Gennaio 2020

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Autori
Mario Campana

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