Gestione dei residui colturali, l'approccio dell'agricoltura conservativa
Nei sistemi cerealicoli meridionali è basilare per il bilancio del carbonio e dell’azoto e quindi per la fertilità del suolo
Data:12 Feb 2021
È consolidata l’evidenza di significativi incrementi di temperatura globale strettamente contestuali all’aumento della concentrazione dei gas serra. Le previsioni confermano e amplificano queste tendenze al punto che il riscaldamento dell’atmosfera diventa elemento fondante per il clima atteso nel 21° secolo. Gli aumenti termici si verificano con forte disomogeneità tra aree geografiche, ma conservando i pattern spaziali e stagionali che le hanno sinora caratterizzate.
L’area Mediterranea è tra le aree più sensibili al cambiamento climatico indotto dai gas serra con incrementi termici e più frequenti eventi estremi per temperatura (ondate di calore) e precipitazione (periodi di aridità e nubifragi).
Il riscaldamento dell’atmosfera ha un impatto negativo in molti settori, ma nell’area mediterranea l’agricoltura e l’industria alimentare possono essere considerate tra i settori antropici più vulnerabili ai cambiamenti climatici (CC), che impattano la produttività, la qualità dei prodotti e la sostenibilità dei sistemi colturali in funzione della vulnerabilità delle specie, esposizione e capacità del sistema agricoltura di attuare efficienti strategie genetiche ed agronomiche.
L’agricoltura, analogamente alle altre attività antropiche, può attuare due tipologie di strategie per fronteggiare i CC: adattamento e mitigazione.
Con l’adattamento, si vuole ridurre gli effetti negativi dei CC cercando di minimizzarne gli effetti negativi sulla produttività e la qualità dei prodotti o di ri-ottimizzare i fattori produttivi perseguendo il massimo profitto nelle nuove condizioni imposte dal riscaldamento. In altre parole, con l’adattamento l’agricoltura cerca di difendersi dai CC. Al tempo stesso, l’agricoltura è causa dei CC per effetto delle emissioni dei gas-serra, dirette o indirette, che sono prodotte nei processi fisico-chimici che avvengono nel suolo e a seguito delle pratiche agronomiche.
Attraverso le pratiche di mitigazione l’agricoltura riduce le emissioni, di N2O, CH4 e CO2, che in vario modo contraddistinguono i sistemi colturali. L’agricoltura che si adatta ai CC riduce l’atteso gap produttivo e qualitativo, aumenta l’efficienza d’uso delle risorse endogene ed esogene riguardanti il suolo, l’acqua, i nutrienti e i trattamenti fitosanitari. L’azione mitigante dell’agricoltura riguarda la riduzione delle emissioni di azoto e carbonio e dell’ossidazione della sostanza organica (SO), la capacità sequestrante del suolo, la riduzione dei rilasci in falda e la conservazione o l’aumento della fertilità del suolo.
In definitiva l’agricoltura è chiamata ad attuare strategie, contestuali ed integrate, di adattamento e mitigazione basandosi sulla conoscenza e accogliendo le innovazioni che riguardano l’agronomia, la genetica e la patologia. La figura 1 elenca le pratiche colturali che possono caratterizzare le strategie di adattamento e/o di mitigazione. Alcune di queste sono gestite a livello aziendale e non richiedono investimenti ingenti (scelta colturale ed epoca di semina). Più costose sono invece le pratiche riguardanti l’ottimizzazione dell’irrigazione aziendale e consortile, la lotta per patogeni e infestanti e infine la costituzione di nuovi genotipi più resistenti a stress biotici e non. Ottimizzazione della fertilizzazione e avvicendamenti possono essere considerate pratiche efficaci sia per l’adattamento che per la mitigazione.
La non- o minima-lavorazione, le fertilizzazioni organiche, la gestione dei residui colturali, i sovesci, l’uso dei compost (particolarmente interessanti quelli derivanti da RSU) e dei prodotti da digestione anaerobica, sono tutte pratiche agronomiche che possono ridurre significativamente le emissioni dei sistemi colturali, preservandone la sostenibilità ambientale ma anche quella economica.
Nel contesto tipico dei sistemi cerealicoli dell’agricoltura meridionale caratterizzato da elevate temperature, precipitazioni scarse, e quindi intensa ossidazione della SO del suolo, unitamente ad una “tradizionale” scarsità di apporti organici, la gestione dei residui colturali (RC) è basilare per il bilancio del carbonio e dell’azoto e quindi per la fertilità del suolo stesso.
Considerando i sistemi cerealicoli fondati sulla coltivazione del frumento duro, ci sono quattro opzioni di gestione: bruciatura, interramento, asportazione e spargimento superficiale.
Nel passato, la bruciatura è stata molto diffusa. Il ricorso ad essa deriva dal ritenere di semplificare le operazioni colturali riducendone il costo, liberare velocemente il terreno dai RC, limitare la presenza di patogeni presenti nei RC e di semi germinabili delle malerbe, quest’ultimo aspetto non riscontrato nella ricerca di lungo termine in atto nell’azienda sperimentale del CREA-AA di Foggia. Tuttavia, il ricorso alla bruciatura comporta il rischio di ingenti danni a patrimoni naturalistici e di prodotti agricoli, la dissipazione del carbonio organico, l’alterazione nel suolo degli equilibri che regolano l’attività microbica e problemi di sicurezza stradale.
Con l’interramento, i RC mediante l’aratura sono incorporati parzialmente o totalmente. L’efficacia dell’interramento è maggiore: 1) se i RC sono previamente trinciati; 2) con una concimazione azotata appena prima dell’interramento per ridurre il rapporto C/N; 3) con umidità del suolo prossima alla capacità idrica di campo. Un interramento efficace concorre a sostenere la produttività del frumento e al tempo stesso a mantenere perlomeno costante il contenuto di acidi umici e fulvici del suolo che, con la bruciatura, tende invece a ridursi con dinamiche di lungo periodo.
L’asportazione dei RC è una perdita netta di SO che può trovare giustificazione con la necessità di diversificare l’attività agricola e stabilizzare i livelli di reddito, a patto di prevedere opportuni reintegri di SO e nei casi in cui una parte dell’asportato ritorna al suolo, magari sotto forma di materiale più efficace delle paglie stesse come letame, compost, digestato anaerobico, ecc.
Di particolare interesse risulta lo spargimento superficiale dei RC, previamente trinciati, evitando il rivoltamento della zolla ed effettuando la semina diretta della coltura seguente.
Le ricerche in corso di CREA-AA hanno evidenziano una capacità produttiva non significativamente diversa dal sistema convenzionale, incrementi di C negli strati superficiali del suolo, riduzione di emissioni di CO2, in un contesto caratterizzato da sensibili riduzioni di costo, al netto degli investimenti dei primi anni di coltivazione.
L’ombreggiamento del suolo, con i conseguenti effetti positivi sulla riduzione dell’evaporazione del suolo e il controllo delle infestanti, la minore esposizione della SO del suolo all’ossidazione, i minori costi di coltivazione e gli avvicendamenti sono gli aspetti fondanti e caratterizzanti l’agricoltura conservativa definita dalla FAO come un “sistema agricolo sostenibile, che contribuisce all’adattamento ed alla mitigazione dei CC, preservando in modo sostenibile il territorio e massimizzando i benefici economici e sociali”.