Carta e penna

Dell'uomo e del cinghiale
didascalia.

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Data:Tue Mar 31 12:58:00 CEST 2020

Probabilmente i cinghiali del Pleistocene, con i loro 300 kg e passa, avrebbero fatto tremare le vene dei polsi anche dei nostri più scafati cacciatori. Giganti così, per quanto ambiti, da noi non se ne trovano più, per la caccia intensiva praticata dall'uomo nei secoli. Anche se in Italia, per l'ibridazione con i "cugini" dell'Est, oggi non è raro trovare maschi adulti solitari da oltre un quintale e mezzo. 

Il loro scudo, quel tessuto duro - anche di 3 centimentri - posto dietro ogni spalla, la loro pelle poco vascolarizzata e ricca di adipe, che li protegge da ferite e persino dai morsi delle vipere, le affilate zanne sempre in crescita dei maschi, la furia delle femmine che difendono i piccoli, li hanno resi nel tempo dei veri "biocarrarmati". Invincibili, nelle macchie del sottobosco. Incarnazione della forza bruta, ispiravano prove di forza e di coraggio: quasi ogni eroe dell’Antica Grecia aveva affrontato e ucciso almeno un cinghiale nella sua vita, mentre scritti e versi decantavano le gesta degli uomini e celebravano la possanza del cinghiale.

Un combattimento antico, quello tra uomo e cinghiale, mai sopito, nel quale per lungo tempo si sono inseriti anche altri predatori, come i lupi, oggi però ridotti al lumicino. Ad archi, frecce, trappole e colpi di fucile, i cinghiali hanno risposto con ferocia selvaggia, la stessa che mostrano i piccoli della cucciolata quando di frequente devono contendersi le mammelle della madre, meno numerose di loro.

Senza più nemici naturali, onnivori, forti del numero dei branchi e della propria stazza, favoriti colpevolmente dall'uomo che per anni ne ha incentivato l'ibridazione e la diffusione per crearsi un serbatoio di carni che credeva di poter controllare, oggi i cinghiali sono ovunque. Nelle aree protette, dove è ancora pù complicato cacciarli, si asserragliano a migliaia. Il cibo scarseggia, con quel carico enorme di capi per ettaro, e allora sconfinano e raggiungono le strade, le periferie delle città, i centri degli abitati, a rovistare nei rifiuti. Ma, soprattutto, invadono i terreni agricoli e fanno scempio delle colture. Dopo il loro passaggio, le superfici sembrano quasi arate. 

I danni delle coltivazioni si calcolano a fatica, mentre non si contano quelli della biodiversità e degli habitat naturali sconvolti. Gli agricoltori pressano le istituzioni, perché si adottino provvedimenti drastici, si sostengano economicamente le misure di prevenzione e si risarciscano in fretta i danni. Regioni e Parchi mettono in campo ogni risorsa possibile, ma non è facile districarsi nel dedalo di norme che regolano il settore e delle competenze territoriali. Nella Valle del Mercure, in Basilicata, un gruppo di cittadini ha promosso una petizione che aveva già raccolto oltre 4.000 firme prima dell'emergenza sanitaria, per sollecitare Regione ed Ente Parco del Pollino ad interventi più decisi.

Così, mentre si richiede a gran voce un intervento del Governo nazionale che affronti in modo complessivo la vicenda, si cerca di trarre almeno vantaggio da questo fenomeno, trasformando la "calamità" in risorsa. Progetti di filiera delle carni si attivano un po' ovunque sul territorio, promossi anche in Basilicata dagli Enti Parco d'intesa con la Regione. Il tempo stringe, mentre la crescita del numero di questi animali sembra non arrestarsi.  

 

 

 

Agrifoglio n. 93 -  

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Autori
Sergio Gallo

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