Agricoltura conservativa: un modo sostenibile per salvaguardare le risorse naturali
Principi, problematiche e alcuni risultati sperimentali ottenuti in una prova di lungo periodo nel podere 124 di Foggia del CREA-AA
Data:02 May 2022
Le lavorazioni del terreno e in particolare l’aratura per secoli sono state considerate dagli agricoltori pratiche indispensabili che hanno consentito sia la messa a coltura di terreni destinati ad altri usi (pascoli, boschi, ecc.) che l’incremento delle produzioni agricole, dovuto ad un temporaneo aumento della fertilità nei terreni lavorati. Questo temporaneo incremento della fertilità deriva da un’accentuata mineralizzazione della sostanza organica, dovuta al rimescolamento e arieggiamento del terreno lavorato, con rilascio degli elementi nutritivi prontamente disponibili per le colture. Già agli inizi del secolo scorso, in alcune aree particolarmente vulnerabili degli Stati Uniti d’America, le lavorazioni profonde e invasive avevano determinato gravi fenomeni erosivi (dust bowl o tempeste di sabbia), dovuti ai forti venti che avevano spostano gran parte dello strato più superficiale del terreno arato con conseguente degradazione dei terreni agricoli e danni disastrosi per le coltivazioni. Questi gravi avvenimenti hanno spinto le autorità a emanare leggi ambientali per la salvaguardia e la conservazione dei terreni, in cui si proibiva la pratica dell’aratura, indirizzando gli agricoltori a sperimentare nuovi metodi di lavorazioni ridotte.
Studi successivi hanno evidenziato, appunto, che le continue arature, nel medio e lungo periodo, provocano un graduale peggioramento della qualità del suolo, sia per effetto dell’azione meccanica degli attrezzi agricoli sulla struttura del terreno che per la perdita di sostanza organica, che si traduce nella graduale perdita della capacità produttiva del suolo. Di conseguenza, per poter continuare a produrre in un terreno degradato, l’agricoltore tende paradossalmente ad utilizzare più input agrotecnici (lavorazioni sempre più spinte per favorire l’approfondimento degli apparati radicali, dosi maggiori di concimi minerali per evitare carenze di elementi nutritivi, maggiore numero di interventi con prodotti chimici specifici per il controllo delle infestanti o delle malattie, ecc.) al fine di massimizzare le produzioni e quindi il reddito. Da qualche anno ormai si sente l’esigenza di interrompere questo circolo vizioso, che ha portato naturalmente ad un forte incremento dei costi di produzione, optando per tecniche agronomiche che consentono di restituire al suolo la sua naturale funzione di sostentamento per le piante attraverso l’incremento della sostanza organica. La sostanza organica, oltre a rappresentare la più grande riserva di elementi nutritivi, svolge nel terreno funzioni cruciali: supporta le attività biologiche del terreno; migliora la stabilità degli aggregati e l’equilibrio tra macro e micro pori con conseguente miglioramento della capacità di ritenzione idrica del terreno; aumenta la capacità di scambio cationico; riduce le perdite di carbonio, sotto forma di emissioni di CO2 nell’atmosfera.
L’agricoltura conservativa (dall’inglese Conservative Agriculture, nota in Italia come Agricoltura Blu) è un sistema di produzione agricola sostenibile in cui si adottano pratiche di coltivazione e di gestione del suolo innovative che contribuiscono alla conservazione delle risorse naturali (suolo, acqua, aria e biodiversità) ottimizzando al contempo i rendimenti. Questo sistema di coltivazione in alcuni paesi del mondo è stato adottato e si è diffuso rapidamente durante il periodo di crisi economica del primo decennio del XXI secolo, in quanto si è sentita l’esigenza di ridurre i costi di produzione dei prodotti agricoli (risparmiando su carburante, manodopera, erbicidi e antiparassitari, ecc.) ed essere più competitivi sui mercati mondiali. Attualmente la superficie destinata a pratiche conservative a livello mondiale è di 157 milioni di ettari che rappresentano l’11% delle terre coltivate (monitoraggio condotto dal servizio Agricoltura Conservativa della FAO in collaborazione con i programmi AQUASTAT). Dalla Tabella 1 emerge che la maggiore diffusione si osserva nel Sud e Nord America con una superficie complessiva di circa 120 milioni di ettari. In Europa la diffusione dell’Agricoltura Conservativa cresce lentamente, probabilmente per problematiche legate ai tipi di suoli e ai regimi pluviometrici. Tra i Paesi dell’Europa occidentale la Spagna detiene il primato con 800 mila ettari (5% della superficie coltivata) in cui si applicano le tecniche di Agricoltura Conservativa. In Italia l’Agricoltura Conservativa si pratica su una superficie inferiore all’1%, su colture annuali (cereali, leguminose e oleaginose) e su colture poliennali in particolare in oliveti e vigneti. Nel nostro paese l’Agricoltura Conservativa ha fatto registrare un incremento delle superfici del 375%, passando da 80 mila ettari nel 2009 a 380 mila nel 2013.
Tabella 1. Superficie mondiale gestita con pratiche conservative (aggiornamento del 2015)
Paese |
Superficie (103 ha) |
Percentuale del totale (%) |
Stati Uniti d’America |
35613 |
22.7 |
Brasile |
31811 |
20.3 |
Argentina |
29181 |
18.6 |
Canada |
18313 |
11.7 |
Australia |
17695 |
11.3 |
Cina |
6670 |
4.2 |
Federazione Russa |
4500 |
2.9 |
Paraguay |
3000 |
1.9 |
Kazakistan |
2000 |
1.3 |
India |
1500 |
1.0 |
Uruguay |
1072 |
0.7 |
Spagna |
792 |
0.5 |
Bolivia |
706 |
0.4 |
Ucraina |
700 |
0.4 |
Italia |
380 |
0.2 |
Altri |
3058 |
1.9 |
TOTALE |
156991 |
-- |
L’Agricoltura Conservativa si basa su tre pilastri fondamentali:
- Disturbo minimo del terreno (semina su sodo o lavorazione minima del suolo)
- Copertura permanente del terreno (colture di copertura o cover crops, residui o pacciamatura vegetale)
- Avvicendamenti colturali o rotazioni diversificate per il controllo delle infestanti e per migliorare la fertilità del terreno e la biodiversità.
La contemporanea e continuativa applicazione di questi tre principi ricrea equilibri biologici indispensabili per sviluppare ecosistemi agricoli vitali e fertili in grado di generare anche benefici ambientali.
In particolare, le pratiche adottate per il minimo disturbo del terreno consistono in una riduzione progressiva delle lavorazioni, adottando attrezzi agricoli che evitano l’inversione degli strati, fino ad arrivare alla non lavorazione e quindi alla semina diretta o semina su sodo. La riduzione dell’intensità e della profondità di lavorazione associata ad un numero inferiore di passaggi delle macchine agricole sul terreno consente di ridurre i fenomeni erosivi e di proteggere l’habitat e l’attività degli organismi viventi nel terreno. La micro e macro fauna, tra cui i lombrichi, è coinvolta in diversi processi, come l’umificazione della sostanza organica e la riorganizzazione e stabilizzazione degli aggregati tra le particelle di terreno. Inoltre, evitando le lavorazioni profonde e invasive dove si prevede il rivoltamento della fetta di terreno, si riduce la mineralizzazione della sostanza organica in quanto è minima la sua esposizione all’aria (e quindi all’ossigeno). Il suolo diventa così un serbatoio di carbonio (C), che non si disperde in atmosfera sotto forma di anidride carbonica (CO2), gas ad effetto serra, e questo potrebbe essere un benefico contributo alla mitigazione del riscaldamento globale.
La tecnica della non lavorazione (No-Tillage), contrariamente alla gestione convenzionale che prevede due o più lavorazioni per la preparazione del letto di semina, richiede il singolo passaggio di macchine in grado di effettuare la semina direttamente su suolo non lavorato e coperto con i residui della vegetazione precedente. Uno dei maggiori problemi nell’adozione del No-tillage è la scelta della seminatrice da sodo più adatta alle condizioni pedo-agronomiche dell’azienda (granulometria del terreno, presenza di scheletro grossolano, contenuto di sostanza organica, presenza di residui vegetali sulla superficie del terreno, tipo e spessore dei residui). Inoltre, ci sono altri aspetti agronomici da valutare: l’epoca di semina, la dose di seme da utilizzare, la profondità di semina, il contenuto idrico del terreno durante il periodo in cui si eseguono le operazioni colturali. L’agricoltore che decide di adottare un sistema di produzione con pratiche conservative dovrebbe essere istruito e dovrebbe avere un’adeguata assistenza tecnica per non incorrere in errori grossolani. Le scelte iniziali, sulla base della esatta consapevolezza della situazione di partenza, sono fondamentali per ridurre il periodo di transizione, cioè il periodo necessario affinché il sistema raggiunga un nuovo equilibrio agro-ecologico. Diversi studi hanno evidenziato che generalmente il periodo di transizione può avere durata tra i 3 e 5 anni, ma in alcuni casi, soprattutto quando si tratta di suoli fortemente degradati, possono essere necessari più anni. Durante questo periodo si possono registrare eventuali perdite di produzione, che insieme alla radicata cultura delle lavorazioni profonde, in particolare l’aratura, e alle scarse conoscenze del sistema e dei suoi vantaggi, scoraggiano spesso l’agricoltore ad applicare pratiche agronomiche conservative.
Alla luce di queste considerazioni, nell’azienda sperimentale podere 124 di Foggia del CREA-AA, agli inizi del 2000 è stata allestita una prova di lungo periodo allo scopo di confrontare due tecniche di coltivazione ammesse in agricoltura conservativa: la non lavorazione (No Tillage, NT) e la minima lavorazione (Minimum Tillage, MT). In un dispositivo sperimentale a blocco randomizzato con tre ripetizioni (Figura 1a), si coltiva in monosuccessione il frumento, coltura tipica della zona (Figura 1b). Nel trattamento NT la semina si esegue su terreno non lavorato mentre nel MT è prevista la preparazione del letto di semina con un unico passaggio della macchina agricola che esegue una lavorazione a doppio strato in quanto costituita da un ripuntatore che incide il terreno fino ad una profondità di circa 40 cm e da una fresa a dischi (Figura 1c) che lavora la parte più superficiale del terreno (15 cm). In entrambi i trattamenti il terreno è coperto con i residui della coltura precedente trinciati a dimensioni di 10/15 cm e distribuiti uniformemente sulla superficie.
Figura 1. Schema del disegno sperimentale adottato (a); Panoramica del campo di frumento dove si adottano le pratiche conservative (a); Macchina agricola usata per la lavorazione a doppio strato nel trattamento Minimum -Tillage (c)
A dicembre 2015, si è avviata un’indagine per valutare gli effetti della gestione del suolo sul contenuto di carbonio organico totale (TOC), prelevando campioni di suolo in più epoche per un totale di 11 campionamenti nel periodo 2015-2020 (Figura 2).
Figura 2. Contenuto di carbonio organico totale (TOC) nei trattamenti No Tillage e Minimum Tillage rilevati in più epoche tra la fine del 2015 e il 2020 su uno strato 0-20 cm di terreno
Dal grafico si nota che ci sono differenze tra i due trattamenti: nello specifico il terreno non lavorato presenta un contenuto di TOC sempre maggiore rispetto alla pratica del Minimum tillage. L’incremento medio osservato nel trattamento No Tillage è stato del 13 % rispetto al trattamento Minimum Tillage. Inoltre, negli anni di osservazione entrambe le pratiche agronomiche hanno determinato un aumento del contenuto di carbonio, più evidente comunque nel trattamento No tillage. Infatti, nel 2020 si è registrato un incremento del contenuto di TOC pari al 9 % e al 2 %, rispettivamente in NT e MT, rispetto ai valori misurati nel 2015 (Figura 2).
Questi dati evidenziano che le pratiche agronomiche testate ed ammesse in regime conservativo, sono utili per mantenere la fertilità del suolo o addirittura migliorarla. Diversi studi condotti in differenti ambienti (suolo, clima e regime pluviometrico differente) hanno dimostrato il positivo effetto dell’Agricoltura Conservativa nei riguardi del tasso di sequestro della sostanza organica nel terreno. Da questi studi è emerso che il tasso di accumulo di sostanza organica può variare mediamente da 0 a 1.15 t di C ha-1 anno-1, con valori più elevati nei climi temperati.