La Comunità Slow Food degli Oliveti Ritrovati del Materano

Si punta a reagire all'erosione della biodiversità e sperimentare un modello di sviluppo sostenibile
didascalia.

Un momento di lezione in campo intorno ad un olivo "barone", nei pressi di Matera, tenuta dalla scuola di Potatura a Vaso Policonico.

Data:22 Feb 2022

Da più di trent’anni Slow Food si batte per affermare la cultura del cibo buono, pulito e giusto che deve essere garantito ad ogni persona, rivendicando il diritto alla sovranità alimentare e orientando lo sviluppo nel segno della sostenibilità. In trent’anni di attività Slow Food è diventata un’organizzazione internazionale presente in 160 paesi del mondo che, con intatta forza propositiva e costruttiva, lavora per tutelare la biodiversità, costruire relazioni tra produttori e consumatori, migliorare la consapevolezza sul sistema che regola la produzione alimentare.

Per una migliore rispondenza alle esigenze del presente orientate allo sviluppo futuro, il Congresso Internazionale di Chengdu del 2017 ha scelto la Comunità come modello organizzativo che, nella logica della rete che da sempre ne supporta le azioni progettuali, interpreta la diversità facendone pratica di vita. 

Solo rinnovando profondamente lorganizzazione di Slow Food, solo rendendola più aperta e inclusiva e solo sperimentando nuove forme di aggregazione, di coinvolgimento e di partecipazione potremo affrontare nel modo migliore le sfide che ci attendono in futuro e contrastare coloro – pochissimi – che detengono il potere e la ricchezza e che decidono le sorti del cibo nel mondo e dell’umanità stessa. Loro sono giganti ma noi siamo moltitudine!” si legge nella Dichiarazione di Chengdu.

Una Comunità Slow Food è composta da un gruppo di persone che condividono i valori del movimento internazionale e viene costituita per raggiungere un obiettivo specifico legato agli scopi generali di Slow Food. In una comunità si mettono insieme capacità e conoscenze per rispondere ai problemi con l’impegno quotidiano nell’ottica del bene comune e realizzare un obiettivo condiviso. Ed è proprio facendo convergere esperienze e volontà al servizio di un progetto comune che nasce nel 2021 dalla Condotta Slow Food di Matera la Comunità degli Oliveti Ritrovati del materano.

Partendo dalla spinta emozionale di alcuni membri fondatori a voler reagire al graduale, silenzioso “genocidio” a carico del patrimonio olivicolo italiano, un fenomeno di erosione biologica che investe anche il territorio di Matera e circondario, si è promossa la costituzione di una comunità coinvolgendo piccoli e medi olivicoltori e amministratori locali e registrando anche l’adesione di decine persone non del settore, con lo scopo di salvaguardare le due varietà locali, la tarantina e la gnannara, che da più di un secolo dominano il territorio. Il passo propedeutico all’azione è stato l’adesione al Manifesto Slow Food in difesa dell’olivicoltura italiana contro lo sfruttamento delle sole varietà più adatte all’industrializzazione delle colture, sostanzialmente una varietà spagnola e una greca, che mette a rischio la biodiversità.

Gli oliveti italiani, estesi su 1.200.000 ettari con un numero di varietà che distacca di misura paesi come la Grecia e la Spagna pur così legati alla cultura mediterranea dell’olio, non vanno sostituiti ma valorizzati con tecniche di gestione sostenibile quale, ad esempio, la potatura a vaso policonico che riduce drasticamente i costi dell’operazione ed è attenta all’equilibrio tra la pianta e il suolo (figura 1). L’inerbimento e la trinciatura dei residui di potatura arricchiscono il terreno di sostanze organiche senza apportare concimi di sintesi, riducendo le lavorazioni del suolo. La Scuola di potatura a vaso policonico ha aderito alla Comunità e se si segue la formazione mirata nella conduzione dell’oliveto rilascia un attestato di oliveto certificato di cui è riconosciuta la sostenibilità.

L’obiettivo comunitario della salvaguardia delle varietà va perseguito non solo con la valorizzazione degli oliveti, migliorandone le condizioni dal punto di vista agronomico, dopo averli strappati all’incuria, ma soprattutto con la valorizzazione degli oli che si producono. Le due varietà locali hanno una loro storia, sono subentrate per innesto su piante preesistenti, perlopiù di una varietà di origine siciliana, la pizzutello, che insieme a caratteristiche particolari e di pregio presenta un frutto estremamente tenace che si stacca con difficoltà, rendendo più laboriosa la raccolta. Per superare questa complicazione gli olivicoltori hanno in passato proceduto all’innesto delle piante esistenti con una varietà di origine pugliese, la tarantina, e con la gnannara (figura 2) di origine non ben nota: la prima dà un olio piuttosto amaro, simile alla coratina, l’olio che si ricava dalla seconda dovrebbe essere dolce in base alle notizie raccolte, ma non è stato provato il suo gusto non essendo mai stati prodotti oli monovarietali.

La valorizzazione degli oli si traduce proprio nell’idea di produrre oli monovarietali: un olio “dolce” da gnannara, molto profumato e fragrante grazie alla raccolta precoce delle olive. Un percorso simile a quello già sperimentato per la majatica che, se in passato veniva raccolta tardivamente per aumentarne la resa, ora si raccoglie precocemente scoprendo un nuovo profilo dell’olio che nasce proprio dalle caratteristiche tipiche del frutto verde, un gusto fruttato e fresco, molto apprezzato dal mercato. Negli intenti dalla Comunità produrre un olio dal profilo organolettico originale, ottenuto da una singola varietà, significa legare il prodotto al territorio in un racconto che collega la qualità alla storia dei luoghi secondo il modello di narrazione propria di Slow Food. Una narrazione autentica che non solo supporta il prodotto sul mercato, differenziandolo da ogni altro presente valorizzandone l’unicità, ma che invita anche a conoscere da vicino le storie intrecciate di terra e persone del piccolo mondo da cui ha origine, forte attrattiva per gli appassionati di un turismo slow e sostenibile.

In sinergia al programma della Comunità degli oliveti ritrovati, il progetto di Slow Food Travel Oliveti patriarchi e templi dellolio” conduce alla scoperta del territorio in un itinerario di turismo esperienziale fra gli oliveti sulle Murge, lungo il torrente Gravina con le piccole masserie storiche fortificate, alle cripte ipogee a strapiombo sul dirupo, fino al MOOM, il Museo dell’olio d’oliva di Matera realizzato in un antico frantoio ipogeo (figura 3). A completare l’esperienza negli oliveti patriarchi, degustazioni dell’olio con il pane di Matera sotto i “baroni” (come vengono chiamati, per il rispetto che incutono, gli olivi le cui dimensioni lasciano supporre che abbiano oltre due secoli).

L’iniziativa già dal suo esordio ha registrato un consenso entusiasta da parte di tante persone, molti giovani e non solo turisti, affascinate dalla scoperta del ricco patrimonio identitario lucano di biodiversità e tradizioni produttive, parte integrante della storia della gente di Basilicata. Il prossimo passo della Comunità sarà quello di implementare l’attività recuperando tutto il possibile dal legno ricavato dalla potatura, con la realizzazione di oggetti d’artigianato e trasformando i residui in truciolato e pellet combustibile. Una progettazione dalle tante sfaccettature quella della Comunità materana che, partendo da una spinta emozionale, sperimenta un modello di sviluppo sostenibile nella ferma convinzione che la valorizzazione dell’oliveto e del suo prodotto vada legata al territorio, realizzando un legame virtuoso tra agricoltura, turismo, artigianato, gastronomia.

Un bell’esempio di Comunità Slow Food, apripista di nuove aggregazioni, come la Comunità Slow Food per valorizzare il percoco e gli orti di Sant’Arcangelo in Val d’Agri, nuovo capitolo del racconto di storie di terra e di uomini che affondano le radici nel passato per progettare il futuro.

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